Giovani “pirati” crescono: purtroppo le violazioni della proprietà intellettuale restano una consuetudine diffusa anche tra le nuove generazioni. Tre i settori più colpiti: l’abbigliamento, il tech e l’intrattenimento online. Circa 1 ragazzo su 3 (33%) ammette, infatti, di aver comprato almeno una volta un vestito, un paio di scarpe o un accessorio di marca falso. Oltre 4 su 10 (42%) hanno fatto lo stesso con i prodotti tecnologici “cloni” degli originali.
Ma online le cose vanno anche peggio.
Ad esempio, a ben 2 giovani su 3 (66%) è capitato di guardare film, serie tv o eventi sportivi usando siti pirata. E anche quando si paga, non sempre si rispettano le condizioni d’utilizzo: 1 su 2 (50%) è solito usare password condivise con persone al di fuori del nucleo familiare per accedere ai servizi di streaming, come Netflix o Spotify. Non mancano poi quelli che a pagare non ci pensano proprio: 3 su 10 (30%) utilizzano app e software “craccati” per evitare di sottoscrivere un abbonamento.
L’unica nota lieta è che, per fortuna, sembra essere al tramonto l’era del decoder che permette di vedere gratis i canali satellitari o a pagamento, il cosiddetto “pezzotto”: l’11% l’ha sperimentato in famiglia, ma quasi la metà di questi lo ha presto abbandonato, cosicché oggi solo un esiguo 6% lo possiede ancora.
A tratteggiare questo identikit è il portale Skuola.net, che ha intervistato 2.500 giovani tra gli 11 ed i 25 anni, nell’ambito di “No Fake, Be Real”, un’iniziativa sostenuta dall’EUIPO, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale.
Se quanto appena illustrato non bastasse, l’indagine mostra anche come, per una parte consistente degli intervistati, l’attacco al diritto d’autore e alle opere d’ingegno sia una costante. E se nel caso del vestiario e della tecnologia, mediamente “solo” per 1 su 10 è un’abitudine cercare prodotti contraffatti, per quanto riguarda lo streaming illegale o in violazione dei termini di contratto previsti dalle varie piattaforme la quota si impenna, comprendo un terzo del campione (33%).
Molto spesso, ciò che sembra mancare è la piena consapevolezza delle conseguenze di questi comportamenti. Da un lato, infatti, quasi 1 su 3 (31%) cede alla tentazione del risparmio pur cosciente di eventuali possibili conseguenze. Ma è ancora più preoccupante la quota di coloro – 1 su 5 (20%) – che non si rendono conto di alimentare sacche di illegalità e di danneggiare nel contempo i fautori di quei contenuti o di quei prodotti tanto amati.
Una sottovalutazione che, all’atto pratico, si può tradurre persino in una sorta di effetto emulazione. Nonché nell’esposizione a rischi onestamente evitabili. Alcuni esempi: il 20% ha acquistato le credenziali degli account condivisi da sconosciuti, mentre il 24% ha condiviso ad altri le proprie, aprendo quindi a una diffusione non controllata di dati personali.
Eppure il terreno su cui impostare un cambio di rotta c’è. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, c’è una metà di giovani (49%) che evita di prendere le scorciatoie di cui si è parlato sinora proprio perché ben conscia che, facendolo, entrerebbe nel circolo vizioso. Per attirare anche gli altri in un circuito virtuoso, potrebbe essere sufficiente lavorare per intensificare la sensibilizzazione sul tema.
Di questi temi, infatti, di solito non si parla molto nei contesti educativi formali: solo il 21% degli intervistati li ha approfonditi a scuola. Per il 46% è invece proprio tabula rasa: nemmeno da autodidatta hanno avuto l’occasione di interessarsi della questione. Ecco perché, forse, quasi 1 su 2 (46%) vorrebbe saperne di più, magari grazie al supporto di esperti dell’argomento, per essere sempre più consapevole delle proprie azioni. Anche perché, se tra di loro ci fosse un creatore di un’opera di ingegno, solo il 13% saprebbe come tutelarla.