Apre al pubblico da oggi, domenica 25 agosto, il giardino di Villa Aurea, la residenza del capitano inglese che contribuì alla rinascita della Valle dei Templi all’inizio del ’900. Restaurato e sistemato, il giardino offre uno spaccato inedito sull’area archeologica. Tra cespugli e macchia mediterranea, si scoprono i resti di una necropoli paleocristiana con ipogei e tombe ancora visibili.
“Un nuovo tassello che aggiungiamo alla visita della Valle dei Templi, già indimenticabile – spiega il direttore del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Roberto Sciarratta -. Ma l’apertura del giardino ci permette di ricordare e far conoscere la figura di un mecenate d’altri tempi che ha veramente fatto rinascere la Valle e a cui dobbiamo moltissimo: quando riuscì a rialzare le colonne del tempio di Eracle, ricostituendolo alla vista, finì sulla copertina del Times. Ma poi fu dimenticato”.
Ingresso gratuito con il biglietto di accesso alla Valle dei Templi. Orari: tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.
Era il 1921 e un cinquantenne capitano della British Navy che aveva combattuto durante le guerre coloniali inglesi, giunge nell’ (allora) Girgenti: Sir Alexander Hardcastle ha la passione dell’archeologia e comprende subito che la Valle dei Templi è un tesoro inestimabile sì, ma drammaticamente abbandonato, come già scriveva Goethe nel 1787. E decide non solo di restare, ma di mettersi al lavoro. Dodici anni intensi e straordinari, in cui Hardcastle, con l’aiuto dell’archeologo veronese Pirro Marconi (marito di Iole Bovio Marconi, tra i primi direttori del Museo Nazionale, poi Salinas di Palermo, colei che salvò i reperti dai bombardamenti del ‘43), regala una nuova vita alla Valle dei Templi. Ma il sir inglese non ammetteva di star lontano dai “suoi” scavi e acquistò una villa lungo le mura dell’antica Akragas, fra il Tempio della Concordia e quello di Eracle: la chiamò “Villa Aurea” in onore della vicina Porta Aurea da cui nel 210 a. C. entrarono i soldati romani dopo sei mesi di assedio. Il resto della storia è bellissimo e nello stesso tempo terribile: sir Hardcastle spende i suoi averi per recuperare la Valle, finanziando campagne di scavo e di restauro, rialzando colonne, acquistando terreni. Finisce in copertina sul Times, con i templi alle spalle. Ma il crollo di Wall Street è alle sue spalle e lo lascia povero. E pazzo. Prima di essere rinchiuso in manicomio – dove morirà poco dopo per una brutta depressione – Hardcastle conduce a buon fine l’unica possibilità rimastagli: vende Villa Aurea allo Stato. Non servirà a nulla, il capitano inglese sarà presto dimenticato, solo un busto in bronzo lo ricorda nel giardino di quella che fu un tempo la sua casa. Ma oggi riapre il giardino voluto dal sir, mentre la sua villa già dal 2008 è la sede di rappresentanza del Parco archeologico e ospita mostre temporanee e manifestazioni.
Il giardino di Villa Aurea – in parte realizzato sui resti di una necropoli paleocristiana con ipogei e tombe ancora visibili – offre un vero viaggio sensoriale nella macchia mediterranea, tra specie esotiche ed esemplari rari, come l’Eucalyptus erythrocorys, forse unica presenza nei giardini storici siciliani. I viali che attraversano il giardino permettono di scoprire resti archeologici, che appaiono tra siepi profumate di mirto, rosmarino e lavanda, alternati a scorci sui templi, sulla campagna agrigentina, coltivata a mandorli e olivi, e sulla pianura verso sud fino al Mediterraneo.
IL CAPITANO MECENATE
Sir Alexander Hardcastle si innamorò di Girgenti. Perdutamente. Tanto da decidere di sconvolgere la sua vita per trasferirsi vicino ai templi, ai tempi smozzicati e abbandonati. Il capitano passerà dodici anni interi ad Agrigento, abitando Villa Aurea; ma, da uomo ricco quale era, finanzia molte campagne di scavo, ricevendo un aiuto – per così dire intellettuale – soltanto dall’archeologo Pirro Marconi. Nessun altro si muove: né lo Stato italiano che guarda con diffidenza al capitano inglese infatuato dei templi antichi; né l’allora Ministro dell’Istruzione, il siciliano Giovanni Gentile, né la soprintendenza né il mondo intellettuale. Ma ad Hardcastle non interessa nulla, non cerca medaglie (gliene arriveranno un paio) né note a piè di pagina: anticonformista, studioso appassionato, è un vero mecenate. E la Valle ha un atroce bisogno di aiuto: i templi – gli “enormi rottami” che Raffaele Politi registra nel 1826 – sono immersi nelle sterpaglie, attorno pascolano le pecore, accanto al tempio di Esculapio, è sorto un ovile, più in là addirittura un’abitazione di campagna. Le sterline di Hardcastle serviranno – oltre che a portare elettricità ed acqua nella Valle – per disboscare, recuperare, scavare, pagare le maestranze locali, acquistare i terreni circostanti che sono già finiti in mani private: accade per le terreno attorno al tempio di Vulcano, si ripete vicino al tempio dei Dioscuri raccontato da Goethe. Pirro Marconi è instancabile, il capitano anche: insieme riportano alla luce la cinta muraria a oriente di Akragas e i resti delle fondamenta del tempio di Demetra sotto una chiesa medievale. Ma l’impresa che li fa ricordare è datata 1924: l’archeologo e il capitano rialzano otto colonne del tempio di Eracle, e l’impegno di Hardcastle è finalmente riconosciuto, persino il Times lo fotografa in copertina sullo sfondo del tempio recuperato.
Ma il successo si spegne con il crollo di Wall Street nel 1929: la banca dove erano depositati i capitali del capitano, fallisce e Alexander Hardcastle resta senza nulla, ha solo Villa Aurea. Che decide di vendere allo Stato (italiano). Non si salverà: da mecenate ricercato diventa povero in canna, se lo mangia la depressione, vaga sconvolto e stracciato per la Valle. Sarà ricoverato nel manicomio di Agrigento – il più grande e degradato d’Europa – dove morirà dopo pochi mesi, il 27 giugno 1933. Chiese di essere sepolto nel cimitero agrigentino di Bonamorone, nel punto più vicino al muro di cinta dove volle fosse aperta una piccola finestra per poter osservare, in eterno, i “suoi” templi. E ad Agrigento, per indicare un personaggio sopra le righe, stralunato, si usa il detto “pare l’inglese scordato ai templi”.
Notizie tratte da un articolo di Amelia Crisantino, La Repubblica settembre 2010