Palermo, 17.02.2017 – Orazio Santagati è uno scrittore catanese, che vive a Roma, che impegna la propria penna e il proprio intelletto, non solo per la stesura e per la pubblicazione di libri e aforismi. Infatti è presidente della Onlus “Memoria nel cuore” che dal 2013 propone, promuove e organizza importanti iniziative ed eventi a sfondo sociale e culturale in Italia. Tra questi il Premio Giornalistico Letterario Piersanti Mattarella giunto quest’anno alla sua III edizione.
Sul piano delle pubblicazioni Orazio Santagati è atteso in libreria a fine aprile 2017 con un nuovo libro che avrà come titolo ‘Ericlea‘. In precedenza, lo scrittore, ha pubblicato ‘Petali di Sabbia‘, ‘L’amico del Furher‘ e ‘La percentuale dell’angelo‘.
Il premio Giornalistico Letterario Piersanti Mattarella, giunto quest’anno alla sua III edizione e di cui lei è presidente è divenuto, seppur ancora giovane, un punto di riferimento molto importante per gli scrittori che vogliono proporre le loro opere al grande pubblico. Ci interessa una sua disamina sull’esperienza fin qui maturata, per i nostri lettori.
“Conoscendo il mondo dell’editoria e della letteratura – risponde Orazio Santagati – ho voluto che questo premio si fondasse e crescesse su valori assoluti di preparazione, serietà e chiarezza. M’interessava attrarre e stimolare lo stile, il talento e l’impegno degli autori. Gli scrittori che hanno partecipato si sono certamente resi conto di questa prerogativa non influenzata in alcun modo da interesse editoriale. Chi arriva in finale, e chi vince questo ambito premio, ottiene un riconoscimento diretto, una conferma del proprio talento. Perché la nostra valutazione non si preoccupa del nome, del successo pregresso dello scrittore o dell’editore che pubblica. L’esperienza delle precedenti edizioni ci conferma che questa è l’unica via percorribile: quella della qualità e del rispetto verso il mondo degli autori talentuosi e della professionalità degli editori a cui il Premio Piersanti Mattarella vuole rivolgersi”.
La genesi di tutto è nella Onlus “La memoria nel cuore” di cui lei è presidente. Notevole è stato l’apporto, da protagonista, nell’ultima Giornata della Memoria che, come ogni anno, si svolge in tutto il mondo il 27 gennaio. Lei stesso è impegnato in conferenze e incontri per ricordare quanto di brutale ha saputo concepire l’uomo, in un particolare contesto e periodo storico, con l‘Olocausto e la Shoah. Quali sono le differenze tra le due definizioni?
“La memoria è la funzione intellettiva più importante della nostra vita psichica e morale. Senza non siamo niente. È qualcosa di cui ognuno di noi ha diretta esperienza. Tutti abbiamo un pensiero, un ricordo che viaggia con noi e che ci segue sempre, nel cuore appunto. Con la nostra Onlus cerchiamo in ogni modo, in ogni occasione, e non solo il 27 gennaio di ogni anno, di mantenere vivo il ricordo delle catastrofi umane che il mondo ha affrontato o subito nel corso del tempo. Ogni anno, in occasione del giorno della memoria, proponiamo a tutte scuole sul territorio nazionale il concorso La Memoria nel Cuore, invitando gli studenti a confrontarsi, attraverso un tema di italiano, con il ricordo o l’analisi sentimentale della Shoah. Ma le iniziative di confronto e sensibilizzazione sono molteplici. Nei prossimi giorni, per esempio, sarò in un liceo di Palermo per incontrare gli studenti e conferire con loro. Discuteremo di Shoah, ma anche di problemi sociali attuali, per capire cosa abbiamo imparato dalla storia e perché, dopo tutto quello che è successo, siamo ancora succubi dell’intolleranza e della prepotenza. Olocausto e Shoah sono termini erroneamente interpretati come sinonimi. Olocausto, parola spesso in uso dai media e genericamente pronunciata, rimanda però a suggestioni errate e forvianti. Nelle comunità ebraiche di tutto il mondo la parola Olocausto è fortemente rigettata. Essa indica la retta forma di sacrificio sacro propiziatorio, previsto dal giudaismo, cioè a qualcosa che non esiste più da duemila anni. E non credo che la morte di sei milioni di ebrei, due terzi della popolazione ebraica europea, possa essere analogicamente sintetizzata con un riferimento a un sacrificio sacro e propiziatorio… L’identificazione corretta è Shoah, il cui significato tradotto dalla lingua ebraica è tempesta devastante”.
La Germania in primo luogo, ma anche con il contributo di una parte della nostra nazione per via dell’alleanza militare prima e durante la II guerra mondiale, è stata protagonista di questo grande crimine umanitario. Si ha però la sensazione che i tedeschi abbiano ripudiato totalmente quanto successo, mentre in Italia i rigurgiti fascisti hanno ancora luogo. Qual è il suo parere?
“Che la Germania abbia ripudiato totalmente quanto accaduto mi pare un giudizio inesatto, cioè in contrasto con i fatti reali e documentati. Molti ex gerarchi e soldati nazisti, per citare uno di tanti esempi, non sono mai stati condannati. E non mi risulta che la Germania abbia mai concesso l’estradizione per processare alcuni criminali di guerra nazisti che, sopravvivendo alla guerra e al processo di Norimberga, sono persino riusciti a riciclarsi come uomini politici o dirigenti… E fra questi ci sono i responsabili di orrendi e disumani eccidi civili, come quello di Sant’Anna di Stazzena e Marzabotto. Di sicuro la cultura tedesca, quella universitaria in particolare, ha saputo affrontare senza alibi la colpa di cui l’intero popolo si era macchiato. Si sono interrogati sulle cause sociali, morali e politiche e si sono preoccupati di fondare un sistema che possa metterli al riparo da nuove espressioni nazionaliste o xenofobe. Nonostante ciò il ripudio non è stato assoluto, né completo. In Italia, invece, si è discusso poco e si è cercato di dimenticare senza affrontare con serietà la questione. Per questo, ancora oggi, siamo costretti a convivere con forme ideologiche di fascismo e con avvilenti espressioni di revisionismo storico”.
“Come al solito è un problema – prosegue Santagati – di superficialità e di ignoranza: c’è troppa incoscienza. Manca una consapevolezza culturale del male rappresentato dal ventennio fascista. Sono profondamente convinto che i cosiddetti nostalgici del fascismo e del nazismo vadano giudicati innanzitutto come ignoranti, come menti fanatiche, cioè abbagliate da una visione distorta del mondo, e come volontà pericolose, soprattutto per se stesse. La comunità emancipata e culturalmente consapevole delle differenze dovrebbe preoccuparsi del loro recupero”.
Cosa pensa del panorama letterario italiano sia nell’ambito della prosa che in quello della poesia? E quale ruolo può avere l’arte in generale perché prevalga il lato buono dell’essere umano?
“Come scrittore giudico la letteratura italiana come una totalità incoerente e indistinta di intenzioni e resistenze,
poteri e passioni. Una confusione, a tratti indecifrabile. Come prima risposta voglio subito dire che detesto le mode che vengono confuse con la letteratura. Un personaggio come il comandante Schettino, per esempio, famoso per avere causato la morte di ventinove persone con il suo naufragio, che scrive un libro. Le persone che fanno la fila per farsi autografare il suo libro mi hanno disgustato e sconvolto. In una recente indagine scolastica del MIUR è venuto fuori che il libro preferito per alcune classi italiane è stato addirittura il Mein Kampf di Adolf Hitler. Il vangelo del nazismo. Ma, a conti fatti, l’editoria non ha mai premiato la letteratura o l’arte. Anche in epoche passate il pubblico premiava opere commerciali, senza qualità, e che fortunatamente sono state dimenticate. Sommando le cose, credo che oggi ci sia tanta voglia di scrivere e poca voglia di leggere. Si cerca il gossip anche nella letteratura mentre molti ottimi e superlativi autori fanno estrema fatica a emergere e subiscono passivamente la questione della pubblicazione a pagamento. Ma l’arte difficilmente viene stimolata o incoraggiata dal sistema economico di dominio, perché è qualcosa che va al di là del banale interesse e del vendibile”.
Ci parli dei suoi futuri progetti.
“Ci sono tante cose che vedo e cerco di prevedere ma a quest’ultima domanda vorrei risponderle con un mio aforisma. Il futuro non ha dei buchi enormi ma incertezze naturalmente riducibili”.