Il sogno, il progetto di una compagnia teatrale nata dal nulla
Palermo – “Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincia a farlo ora. Il coraggio reca in sé genio, potere e magia. Comincia adesso!”. L’invito di J.W. Goethe può suonare banale e spaventoso insieme. Tutte le cose importanti sono difficili da raggiungere e seguire le proprie passioni può essere faticoso e dispendioso, specie se all’orizzonte si staglia, tormentosa e paralizzante, la paura di fallire. Ma più vero è, come è stato detto, che “la paura di fallire è di gran lunga peggiore del fallimento stesso”. Probabilmente la pensa così Ornella Matranga, studentessa ventiduenne di Lettere moderne all’Univiersità degli Studi di Palermo, da sempre appassionata di teatro che da un anno ha deciso di mettere su, con dei colleghi e amici che hanno deciso di seguirla, una compagnia teatrale che ha già portato a casa due sold out con la sua prima commedia “Il Pollo” (una rivisitazione de “Le Dindon” di G. Feydeau) in scena al cineteatro Colosseum di Bonagia e che continua a lavorare per i prossimi spettacoli.
“La passione per il teatro inizialmente non era qualcosa di nitidamente definito – racconta Ornella Matranga – era più una sorta di curiosità che poi è diventata un’esigenza nei confronti di questo mondo particolare, distante dal cinema e da altre forme di spettacolo. Da spettatore mi piaceva l’idea che l’attore di fronte a me non fosse vincolato da strumenti meccanici, ma che avesse tutto lo spazio a sua disposizione per attirare l’attenzione dello spettatore e trasmettergli sensazioni. L’attore appare vero quando riesce a trasmettere delle sensazioni che sono reali”.
Un famoso detto recita: “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero”. Un po’ come se nella vita di tutti i giorni principalmente si mentisse, si recitasse una parte, invece quando ci si abbandona sul palco si può paradossalmente provare qualcosa di più autentico…
“Bé sì un attore ha la possibilità di ‘diventare’ tanti personaggi. Ora tutti questi personaggi aprono delle porte tue personali, che probabilmente da solo non saresti mai riuscito ad aprire. Per interpretare dei ruoli particolari non si deve solo seguire le regole canoniche o cercare di riesumare delle condizioni tue emotive che possano essere vicine a quel personaggio, se ti senti molto vicino al personaggio che interpreti, alla fine non sei soltanto tu ad animarlo, è come se lui si impossessasse di te. Quindi c’è una sorta di scambio/trasformazione bilaterale. E’ come se due entità si incontrano per creare qualcosa di nuovo, non a caso un personaggio può essere interpretato in maniera diversa da attori diversi, ma sempre in maniera corretta.
E’ sempre la risoluzione di enigmi. Per dare vita a un personaggio devi risolvere un enigma. Ci saranno parti tue e di quel personaggio che moriranno. Altre nasceranno. Questa trasformazione per me non può esserci nel cinema, dove le riprese vengono registrate in giorni diversi e hai uno spazio limitato, una mimica facciale iper dettagliata, e quindi sei costretto a concentrarti su cose che non permettono un trasporto e una trasformazione piena, completa.”
Che cos’è questo enigma? Parli del teatro come se ti mettesse un enigma di fronte, che si rigenera continuamente.
“Mi piace pensare all’enigma come catalizzatore di trasformazione. Perché l’enigma non è una domanda e basta, è una domanda formulata in modo molto complesso, mentre la sua soluzione è quasi sempre semplice.
L’enigma che ti propone il teatro non può mai esaurirsi, ti porta sempre più avanti, è una domanda che ne muove altre. Di recente ha parlato proprio di questo Matteo Nucci nel corso di una conferenza universitaria. Lui poneva il teatro in relazione all’agone, come spazio di conoscenza, di scambio di trasformazione e risoluzione di enigmi.
Il teatro è un esperienza totalizzante. Va vissuto non solo per voglia di apparire ed essere protagonista, dinamica che può essere ricorrente tra gli attori (che spesso sono molto egocentrici), perché questo magari ti può rendere un bravo interprete, ma l’attore perfetto è quello che vive, indaga e rischia in questa esperienza nei confronti di se stesso, un po’ come un torero.”
Cos’è che ti ha portato a mettere in piedi una compagnia teatrale dal nulla?
“Quando conclusi la mia esperienza col laboratorio teatrale, volevo continuare col teatro inventandomi un qualche altro modo, ed ero sicura di voler iniziare un percorso con persone che non avessero avuto mai esperienze teatrali. Questo lo sapevo fin dall’inizio, perché col passare del tempo mi è venuta voglia di provare a capire quali fossero le mie attitudini a livello registico. Quello che ho fatto è stato ricordare cosa era stato insegnato a me e insegnarlo ad altri, cercando di far venire fuori le mie predisposizioni e idee”.
Qual è stato il tuo segreto? Come hai fatto a convincere gente nonostante si conoscessero poco ad ascoltarti, seguirti con trasporto e lavorare insieme ad un progetto che non rientrava nei loro piani di vita ?
“Io penso che sia necessario quando si fa qualcosa di questo tipo, crederci al mille per mille e avere un trasporto totale. Se questo trasporto e questa convinzione sono reali, alle persone a cui proponi una cosa del genere, arriva. Io penso che presterei attenzione a chi mi parla di qualcosa con un trasporto sincero ed evidente. Io so che questa passione è fin troppo forte in me e gli altri se ne accorgono. Poi certo anche dall’altra parte c’era apertura e predisposizione ad accogliere la mia proposta; i ragazzi sono quasi tutti di lettere, o comunque hanno percorsi umanistici alle spalle, quindi è probabile che in ognuno di loro ci sia una ricerca relativa a quei famosi enigmi di cui abbiamo parlato, e che un percorso del genere aiuta a indagare.
Comunque non è stato facile. Dopo i primi due incontri mi sono resa conto che le cose da fare erano davvero tante, troppe. Avevo un po’ paura, ma non una paura che ti porta a mollare, ma a capire che si trattava di qualcosa di davvero importante. Poi, lavorando prima sui testi, quindi sulle parole, poi sulla capacità di improvvisazione, quindi sul livello fisico, anche un po’ di dizione (sebbene per formare degli attori completi non credo di avere ancora le competenze), le cose hanno iniziato a girare per il verso giusto. Il mio scopo era solo arrivare fino in fondo con dei ragazzi che avevano avuto un approccio positivo al teatro. E vedere che dopo più o meno un anno questi ragazzi siano riusciti a stare su un palcoscenico in modo convincente e a far divertire il pubblico (prova del nove per una commedia) è stato meraviglioso. Tredici su tredici sono riusciti a fare questo e sono riusciti dunque a lasciarsi andare. Il personaggio si era davvero impossessato di loro”.
Dopo questi due spettacoli andati bene, cosa pensi di fare in futuro?.
“Questo progetto ormai si è vestito di realtà, esiste ed esiste la voglia di andare avanti lungo questa strada. Adesso quello che farò, visto e considerato che mi rimane ancora almeno un anno di università a Palermo, è aprire una compagnia teatrale coi ragazzi che hanno intenzione di continuare questo percorso almeno per il prossimo anno e dopo la laurea tenterò di studiare regia.
Il cinema mi divertirebbe, ma il teatro è più che divertimento, è fondamentale, è fonte di sofferenza e di piacere, di stimoli, qualcosa, come ho detto, di totalizzante.
Voglio andare avanti perché non l’ho fatto per avere un momento di gloria e visibilità con parenti, amici e un piccolo pubblico. Sperimentare situazioni nuove mi ha portata qui e cristallizzarmi adesso sarebbe un controsenso.
La paura più grande era non riuscire ad arrivare fino in fondo come avrei voluto, cioè di alzarmi dalla regia a fine rappresentazione, andarmi a prendere l’eventuale applauso senza essere sinceramente soddisfatta. Invece è successo magicamente l’opposto, non solo quello era ciò che volevo, ma era addirittura di più. Quella è stata la sensazione più bella.
Non c’è mai stato un momento lungo questo percorso in cui abbia pensato di fermarmi. Se tu continui costantemente a credere in qualcosa, quando arrivi in fondo, tutta quella esperienza diviene intimamente ‘tua’.”
Il consiglio che vorresti dare a qualcuno che ha un progetto in testa ma ha paura di iniziare e, una volta cominciato, ha paura di non riuscire come vorrebbe?
“Sono molto severa da questo punto di vista. Penso che se la tua paura e troppo più forte della voglia di lasciarti andare, vuol dire che forse non è quella la tua strada. Se ci sono momenti di debolezza ma si riesce comunque infine a trovare delle soluzioni per andare avanti, allora bisogna spingere per farle andare sempre meglio. Se è una cosa che tu vuoi veramente, ma solo a questa intima e sincera condizione, allora la puoi fare, sempre. Noi non avevamo un euro, io non avevo esperienza da regista e i ragazzi non ne avevano da attori, non avevamo autorizzazioni, percorsi tracciati o sicurezze. Eppure siamo arrivati in fondo, anche grazie al sostegno isperatodi di molte persone esterne. Una delle cose più incredibili di questa esperienza è stata proprio vedere gente che non era parte integrante di questo progetto, mettersi lì ad aiutarci, per esempio i Within an Hour, che si sono offerti gratuitamente di registrare le musiche per noi, poi le famiglie, gli amici… Vedere tutto questo movimento umano per sostenerci per me ha un valore superiore alla rappresentazione nel più importante teatro che si possa immaginare”.
Anche tutta questa gente che ti ha aiutato dopotutto ti deve qualcosa, perché da questa storia ha potuto trarre un insegnamento, che semplificando un po’ potremmo ricondurre al tipico assunto rinascimentale “homo faber suae fortunae”, perché tu, con le tue forze, ti sei lanciata in un progetto, hai coinvolto altra gente e hai dato vita ad una bella esperienza artistica che è quella di una piccola commedia teatrale.
“Sì comunque sia è essenziale che questo “homo faber fortunae suae”, creda veramente nella sua idea. Non dev’essere solo una volontà razionale, ma proprio un’esigenza emotiva e impulsiva, altrimenti mancherebbe sempre qualcosa”.
Riceviamo e pubblichiamo ringraziando Ignazio Moscarelli per la segnalazione