Un “Esperanto visivo” da leggere attraversando più livelli di comprensione: segni grafici, gesti, emozioni, corpi, per allontanare ogni differenza culturale. Forse per questo motivo Avner Sher ha scelto il sughero come materiale principale delle sue opere. Tra le crepe, le ferite della corteccia esterna della quercia di Cork, si legge la rinascita.
La corteccia viene staccata dal tronco una volta ogni nove anni, un trauma ripetuto che la quercia cerca di dimenticare. L’artista israeliano usa il sughero per creare un mondo interiore, che affonda nelle origini e si nutre di desideri. Attraverso la sua arte Avner Sher vuole decodificare il presente e osservare i punti di collisione tra civiltà inondate da credi, disperazioni e speranze. La personale “Bridge Palermo Jerusalem” di Avner Sher si inaugura giovedì 14 giugno alle 18,30 nella Sala delle Verifiche del complesso monumentale dello Steri, a Palermo, dove resterà fino al 31 agosto.
Costruita da Ermanno Tedeschi – curatore internazionale con alle spalle tanti anni dedicati alla valorizzazione delle eccellenze culturali ebraiche ed israeliane – e Flavia Alaimo, storica dell’arte già impegnata in eventi esposItivi sul tema dell’esodo, la mostra è organizzata da Acribia in accordo con l’Università di Palermo, gode del patrocinio dell’Ambasciata di Israele ed è inserita nel programma di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
“Un progetto site-specific realizzato per l’Università degli Studi, che si rivela particolarmente significativo – spiega il Rettore Fabrizio Micari -: da un lato, si ricollega alla poetica di Avner Sher, profondamente legata a Gerusalemme e ai concetti di distruzione e rinascita associati alla storia del popolo ebraico; dall’altro, si radica nella città che ospita la mostra scaturendo da un’originale ricerca su riproduzioni di carte antiche di Palermo”.
Avner Sher tratta il sughero, lo segna, lo rende suo; incide in modo aggressivo, brucia la corteccia, la inonda di materiali insoliti come vino, detersivo per bucato, inchiostro e ketchup. Crea un’archeologia e una storia per il materiale, come se fosse una pergamena torturata da macchie, lacrime e graffi. Nelle sue opere che hanno i colori del deserto o del vino, o su un’alta fila di obelischi, cerca risposte, cogliendo paure e speranze che divide con il suo popolo.
Per questa mostra che si srotolerà tra Sala delle Verifiche e il primo cortile dello Steri, Avner Sher sta ideando un progetto site-specific che si riallaccia al precedente “950 mq: Topografie alternative” curato da Smadar Sheffi al Museo della Torre di David della Storia di Gerusalemme. Come già avvenuto per le mappe della Città Vecchia – dove convivono i siti sacri alle tre principali religioni monoteiste concentrati in meno di un chilometro quadrato -, Sher lavorerà su riproduzioni di carte antiche di Palermo su cui rintraccerà i segni della Storia, fondendoli con i nuovi contorni della modernità.
Il risultato sarà una mappa illusoria su sughero per un racconto immaginario, colmo di desideri e di rabbia, del capoluogo siciliano. L’artista ha vagabondato per le stradine strette del centro storico di Palermo per coglierne sensazioni incrociate, assiomi religiosi, dati storici e associazioni personali ed intrecciare una rappresentazione ibrida di cose viventi e oggetti inanimati che si muovono tra vari periodi e utopie.
Nel cortile, saranno invece sistemati quattro obelischi, due rossi e due neri, come colonne a testimonianza dell’attuale sovrapposizione culturale di Palermo. Sher opera in uno spazio simbolico tra il significato e la storia: i due obelischi rossi, che raffigurano immagini che rinviano al mito della creazione giudaico-cristiana, si ergono come l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male e l’Albero della Vita.
I due obelischi neri rifiutano di essere decifrati, almeno all’occhio dello spettatore non africano. Sher vi ha inciso simboli africani che ha fatto propri senza presupporre alcuna conoscenza delle culture dell’Africa. Il suolo e il pavimento sono punteggiati da piccoli pezzi di legno colorati di nero in cui appaiono richieste di aiuto scritte in lingue africane. Sono messaggi in bottiglia che non hanno mai raggiunto la loro destinazione? Da figlio di sopravvissuti all’Olocausto, è ancora vivo nella memoria dell’artista, l’incubo di rimanere emarginato, perseguitato e di non vedersi riconosciuto l’asilo politico
Nelle opere di Sher Avner si rintracciano i riferimenti alle figure bibliche del Cristianesimo e dell’Islam, come nelle recenti Jacob’s Ladder (2013), Jonah (2013) o le dieci “piaghe” sugli obelischi (2014). Sher intreccia i segni e le ferite della materia trasformandoli in forme e lettere, curandole per costruire un mondo di ampi gesti filosofici e formali che sono spesso sorprendenti e commoventi. Sulle tavole di sughero montate su legno, crea opere che richiamano il mondo della pittura, dell’incisione e dell’intaglio; pesca da antichi linguaggi visivi, la scrittura cuneiforme o i geroglifici, richiama Babilonesi, Assiri, Ittiti, Egiziani , ma anche gliactions painters americani della metà del XX secolo (Jackson Pollock, Franz Kline e Willem de Kooning) e gli scarabocchi infantili del primo Modernismo (Joan Miró).
Graffi violenti, zone delicate di tratteggio incrociato minimalista e ritmico, spaziano dal Medio Oriente antico agli ornamenti musulmani e persiani. E qua e là emergono immagini che ricordano l’estetica dei primi giochi per computer, Nintendo, Pacman o Tetris. Non si chiede di decifrare, né di comprendere: non sono frasi compiute: Sher racconta una storia e coglie momenti di ambivalenza personale e culturale. Il suo duplice sguardo è legato al primo Modernismo, ad artisti pionieri come lo scultore Henri Gaudier-Brzeska (1891-1915), a Jacques Lipchitz (1891-1973), e, naturalmente, a Picasso che traeva ispirazione dalle antiche civiltà come fonte del suo linguaggio.
Si può pensare all’opera di Avner Sher come ad una specie di Stele di Rosetta che comprende testo e traduzione insieme, opere d’arte che racchiudono chiavi di comprensione, un incontro tra culture e storie e una dichiarazione visiva di indipendenza.