La sordità infantile (ipoacusia), a volte anche congenita, mette a rischio lo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino, ma non sempre è diagnosticata alla nascita. Per gli esperti, ritardo diagnostico, famiglie disattente e strutture sanitarie inadeguate sono gli elementi che interferiscono nel processo di recupero.
L’appello, lanciato a Villa Magnisi durante un convegno sull’audiologia infantile, è che in Sicilia si intervenga presto, creando un centro di cura di riferimento dotato degli strumenti necessari, a partire dagli impianti cocleari, e attivando programmi di screening uditivo neonatale in tutti i centri nascita del territorio.
“Pur essendo un fenomeno molto diffuso si parla poco di sordità, ancora meno di ipoacusia infantile – ha detto il presidente dell’Ordine dei medici Toti Amato di Palermo – “. Eppure è un problema che tocca tante persone e non c’è fascia d’età immune. La medicina ha fatto grandi passi in avanti, ma poco conosciuti dalla maggioranza delle persone.
Così si resta dell’idea che, a parte gli apparecchi acustici, non esistano altri modi per ridurre o guarire il deficit uditivo, quando invece esistono protesi e interventi chirurgici in grado di restituire una buona funzione uditiva. Per questo è necessario informare pediatri e famiglie, incoraggiandoli alla sorveglianza dell’udito”.
A tracciare il quadro generale Francesco Martines, responsabile dell’audiologia infantile presso la U.O.S.D. del Policlinico di Palermo: “Ogni sordità, anche se lieve, deve sempre indurre il pediatra ad un approfondimento. Ci sono sordità che passano inosservate e che vengono rilevate solo casualmente durante un controllo medico, soprattutto nei bambini dai 5 ai 10 anni, poco consapevoli del loro problema. A volte si tratta di un problema congenito già presente alla nascita, e il ritardo della diagnosi può impedire uno sviluppo cognitivo e linguistico corretto.
I dati rilevati confermano che i bambini diagnosticati precocemente prima dei 13 mesi, se supportati bene dalle famiglie, recuperano meglio rispetto ai bambini diagnosticati dopo gli stessi mesi. A Palermo, negli ultimi due anni, ne abbiamo diagnosticato una cinquantina con meno di un anno di età, di cui un terzo con perdita uditiva monolaterale, che pur non essendo invalidante per lo Stato, se non trattati adeguatamente sono a rischio, a partire dall’apprendimento a scuola.
Da qui, l’importanza di un controllo attento e ripetuto del bambino, almeno tre volte l’anno, e la necessità di avere una struttura di riferimento adeguata, senza le estenuanti liste di attesa, in grado di attivare un percorso riabilitativo”.
“Diversamente – ha spiegato Francesco Dispenza, esperto di chirurgia dell’orecchio al Policlinico di Palermo presso la U.O.Otorinolaringoiatra – continuerà la migrazione delle famiglie verso altre strutture di cura, fuori dalla Sicilia, aggravando i costi della sanità regionale. Il Servizio sanitario nazionale, ad esempio, garantisce praticamente tutti gli interventi a carico del sistema uditivo, compreso gli impianti cocleari che nel nostro territorio mancano, nonostante siano fondamentali per raggiungere in certi casi il risultato. In Italia, l’incidenza della sordità nei neonati è stimata in 1-2 casi su 1.000 nati, ma l’indagine ha riguardato un numero ristretto di bambini sottoposti a screening uditivo in maniera disomogenea in tutto il territorio. Sarebbe importante realizzarli in Sicilia per conoscere l’incidenza e la portata della malattia per una valutazione precisa”.