Dopo “Anima” e “Qualche passo dopo l’anima“, in questo 2020 segnato da incertezze, paure e lockdown a causa dell’emergenza pandemica, Francesco Basile, attore, regista, e poeta modicano mette nero su bianco “Quarant’anni in versi“, la sua terza silloge poetica pubblicata dalla casa editrice siciliana Kimerik. Il libro ha anche la prefazione di Mary Tagliazucchi, giornalista de Il Tempo.
I versi, come sopra anticipato, nascono durante il primo lockdown, quello dello scorso marzo ed aprile, e segnano un nuovo percorso di maturità dell’autore rispetto le precedenti pubblicazioni.
Diversi i temi che Basile “abbraccia” in questi suoi ultimi componimenti, ritroviamo i sentimenti e le emozioni, ma c’è anche la storia, la guerra coi suoi aspetti sociali ed umani, e l’attualità che ingloba i drammi dell’attuale pandemia che sta mettendo a dura prova il mondo intero.
Riflessioni dell’anima che ci riportano alla realtà, a volte bella a volte brutta, e all’attualità in cui ritroviamo altre contrapposizioni: amore e morte, esistenza e solitudine; ma, a mitigare il tutto, ci sono i viaggi, quelli veri e quelli dell’anima.
Alle poesie del libro, suddivise in due parti: “Sono solo riflessioni...” e “Tra eros e magia“, si alternano alcune illustrazioni, e proprio la prima porta il titolo del libro “Quarant’anni in versi”, componimento che, sin da subito, ci conduce alle riflessioni dell’autore che esprime qui tutto il suo desiderio di scrivere, o meglio, imprimere i propri pensieri nero su bianco, per restare poi lì, indelebili.
Sicuramente in questi versi, Basile scrive dell’amore che è anche quello di una madre verso un figlio e viceversa, in “30 aprile 1977” c’è appunto la disperazione di una madre che cerca il proprio figlio soldato nella fredda plaza de Mayo di Buenos Aires. Ne “Il bambino dalla pelle d’ebano”, ritroviamo pure una figura materna portata via dal mare, ed un dolore che lascia immedesimare l’autore e il lettore; “Madre mia”, invece, è un pò un inno all’amore materno, misto al senso di vuoto per l’assenza. Ed anche ne “Il bambino dell’altalena”, ritroviamo il canto della madre al ritmo di questa ”altalena della vita”.
Il tema della guerra, invece, lo cogliamo ne “I due militi del ’43”, andati via troppo presto, la cui memoria resta all’ombra dell’ulivo; in “A chi non ha voce” dove, chi è rimasto senza vita, ora è solo un numero: a loro va ora il pensiero dell’autore, e a loro lui vorrebbe dare un volto perchè diventino memoria. Ma la guerra è anche quella dei drammi e dei dolori della gente, una guerra che può essere pure interiore, e questo stesso tema lo ritroviamo anche in “La bambina che girava con Dio” e “Sono nato siriano”.
Il viaggio e l’amore per la terra natia sono aspetti ricorrenti in Basile che, nei versi di “Vagabondo di quartiere” narra della ripresa di un viaggio interiore, paragonandosi ad un solitario passante.
Sentimenti che ritroviamo anche in “Terra nostra”, dove, il narratore, sentendosi straniero tra i fratelli, ricorda vecchie leggende, e cresce in lui il desiderio di tornare nella sua terra natia. Invece, ne “Il treno senza ritorno” a viaggiare sono ricordi senza valige, e questo è un treno che va veloce, lasciando dietro sè proprio questa madre terra e la propria vita. E poi c’è “Sicilia”, la nostra terra, che spesso si cerca altrove, o si scorge inciampando, viaggiando anche lontano, è una terra che non va mai via.
“Il virus con la corona” non può che parlare di attualità, nello specifico di un momento tragico: toccante è “Bergamo accese la luce”, dove è impossibile non rivivere la tristezza di quella carovana di mezzi militari con le salme delle vittime che portò dolore alla nazione intera che ha assistito a tutto ciò inerme, in tv e sui social. Coloro che se ne sono andati lo hanno fatto in silenzio, senza un ultimo saluto. A tutto ciò si unisce l’orrore che hanno vissuto e vivono camici bianchi, forze dell’ordine, e tutti coloro che lottano in trincea, mentre c’era chi cantava dai balconi…
Attualità che nei versi Basile non è solo Covid, ci sono ad esempio anche i social e soprattutto il ruolo che questi hanno nella società e nei rapporti umani, come possiamo leggere ne “Il bambino che si credeva grande”, dove un fantasma, ovvero una figura virtuale, può far pensare ad un amore vero.
La seconda parte del libro, Tra eros e magia, ci conduce in un altro viaggio, quello più intimo, del cuore, anime che si cercano, si trovano, si perdono, si dicono addio, o si ritrovano in quel lento tormento di chi ama e non possiede, tipico degli amori impossibili che insegnano a vivere di attimi (“Al di là delle maschere). In “Dio, te l’affido” leggiamo, invece, il coraggio della rinuncia d’amore e per amore.
L’amore può legarsi anche all’inganno: in “Maschera di cera”, l’inganno, infatti, lascia il posto alla verità.
E’ possibile seguire Francesco Basile attraverso la sua pagina Facebook:
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