La condizione di precarietà della sanità a cui sono soggetti oltre i pazienti anche il personale sanitario degli ospedali è sempre più grave. A raccontare all’Ansa le peripezie subite, per ricevere le cure in un pronto soccorso, è la moglie di un avvocato palermitano 88enn che insieme al figlio si sono recati al PS dell’Ingrassia per fare prestare le cure al coniuge giunto con i piedi molto gonfi, dispnea, e con problemi cardiocircolatori e polmonari.
‘Siamo stati accolti – dice la moglie del legale – da un medico donna molto gentile e preparato che ha fatto fare un prelievo di sangue e una Rx toracica. Poi ha ordinato una visita cardiologica. Mio marito è stato messo sulla lettiga in astanteria con altre persone dov’è rimasto fino all’una di notte quando finalmente è stato visitato dal cardiologo. Dopo la visita è stato ordinato il ricovero nel reparto di Medicina ma siccome non c’erano posti letto ci hanno chiesto l’autorizzazione per lasciarlo in barella ma in reparto. Naturalmente, dopo tutto quello che abbiamo passato, abbiamo accettato. E lo abbiamo lasciato lì”.
La donna racconta che al marito sono stati fatti tre prelievi di sangue, forse perchè i risultati erano anomali. Al terzo prelievo ha chiesto all’infermiere le ragioni di tutti questi prelievi e l’uomo ha risposto: l’ultimo sangue si è coagulato. Il medico che ha preso il posto della dottoressa nel pronto soccorso non ha mandato il paziente alla visita cardiologica dicendo che attendeva gli esisti degli esami. ”Questo medico era scostante – dice la donna – non si degnava di guardarmi in faccia e mi trattava con sufficienza. Nessuno rispondeva alle mie richieste dopo che siamo rimasti in attesa per otto ore, nè il medico nè l’infermiere. Mi sono sentita male con un innalzamento della pressione. Dopo 10 ore mio marito è stato visitato dal cardiologo e poi ricoverato. Sono partita da casa alle 14. Sono rientrata alle 3 del mattino”.