venerdì, 27 Dicembre 2024
spot_img
HomesocialePresentato “A colloquio con Gaspare Spatuzza” di Alessandra Dino

Presentato “A colloquio con Gaspare Spatuzza” di Alessandra Dino

Palermo 25.10.2016 – Presentato ieri, nell’Auditoriom RAI di Palermo, il libro “A colloquio con Gaspare Spatuzza – un racconto di vita, una storia di stragi”, alla presenza dell’autrice Alessandra Dino, docente di Sociologia giuridica e della devianza, all’Università degli Studi di Palermo. Una serata molto particolare moderata da Fernanda Di Monte ed animata dagli interventi di Salvatore Cusimano, direttore Rai; Antonino Raspanti, Vescovo di Acireale; Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo e di Maria Concetta Di Natale, direttrice del Dipartimento Cultura e Società dell’Università degli Studi di Palermo, la quale ha definito Alessandra Dino “collega profonda ed attenta, sono orgogliosa anche come cittadina, in appena un anno che insegna nel mio Dipartimento aperto a tanti aspetti culturali, e già due volte mi invita a presentare un suo lavoro. Sono certa che anche questo libro avrà il successo che merita e non posso che formulare a Alessandrail mio apprezzamento e rivolgerle i miei auguri per il suo futuro”.

Ha quindi ripreso la parola la Moderatrice, la quale ha tenuto a sottolineare “ci accingiamo a presentare un libro in cui tutto è riportato e riflesso dal titolo e dal sottotitolo, un libro che lascia annichiliti per alcune espressioni usate dallo Spatuzza come quando dichiara  – non ho ucciso sparando, io ho strangolato – questa di Alessandraè un libro di studio e riflessione, un mosaico non completo, teso ed intenso, fatto di parole calibrate, perché scrivere di un uomo di questo tipo, risulta molto impegnativo”

E’ stata poi la volta di Salvatore Cusimano che ha ricordato “sono stato testimone di tanti anni di cronaca, nel 1997, ad esempio, quando Spatuzza venne arrestato, noi giornalisti, con le troupe televisive, arrivammo prima che l’arresto stesso venisse perfezionato – e prosegue – qualcuno ci avviso che c’era fermento all’Ospedale Cervello, ci recammo sul posto e notammo la presenza del capo della Squadra Mobile Guido Marino, vedemmo gli arrestati e riprendendo le immagini, cogliendo un certo disappunto da parte dei poliziotti – e prosegue – Spatuzza aveva un’aria baldanzosa. L’angolo di visuale del cronista, mi fa riflettere su questo libro dove alcuni aspetti della ricostruzione della vicenda mi lasciano indifferente, è comunque un libro che scaturisce da un lavoro delicato e minuzioso”. Il Direttore poi racconta anche di un altro Collaboratore di Giustizia “Santino Di Matteo che pretendeva 20 milioni per l’intervista che dovetti subito interrompere”, Cusimano racconta ancora “Per fare un’intervista ad un Collaboratore è necessario attenersi ai fatti senza farsi coinvolgere dal personaggio. Molti di loro hanno un forte carisma, tentano di irretirti nel loro mondo e cercano di farti scrivere quel che loro vogliono. Il lavoro di Alessandra Dino – continua Cusimano – è meticoloso, la Scrittrice adopera un linguaggio profondo ed è evidente che in lei, nel corso della lunga intervista, qualcosa è accaduto. Alessandraè tra le studiose palermitane che ha affrontato di più le reticenze dello Stato e dei Collaboratori di Giustizia, nel raccontare le verità” Infine, il Direttore Cusimano, ha voluto esprimere su Spatuzza “fatto salvo il giudizio sull’autore e sul libro che sono oltremodo positivi, voglio dire che Spatuzza non mi convince, lui gioca una partita astuta da vero mafioso, una partita fatta di silenzi e reticenze, lui dice e non dice, lui si sottrae col silenzio o risponde rifacendosi ai verbali o cassando, addirittura, le dichiarazioni. Ho poi notato – dice ancora Cusimano – alcune discrasie come il linguaggio usato nel corso dell’intervista, molto diverso da quello dai verbali e le parti trascritte e quelle sintetizzate dall’autore, per non usare gli anacoluti o i trucchi del linguaggio dei mafiosi. Ci sono parti – conclude il Direttore – che mi hanno infastidito come la sua arroganza, parla come se fosse un vescovo, usa espressioni retoriche ed esagerate che trovo insopportabili, mi ha lasciato l’amaro in bocca per gli interrogativi sui ruoli delle stragi, dice infatti che c’erano delle presenze esterne e non fa i nomi di questi esterni ed ha spesso fatto richiamo agli atti giudiziari. In conclusione Spatuzza ha accentuato in me dubbi sul profilo umano e non posso che augurarmi, come cittadino, che lui sia un vero e valido collaboratore”.

Ancora la Moderatrice Fernanda Di Monte ha detto “Spatuzza accetta di colloquiare col desiderio di riabilitazione, l’autrice si sottrae a questa riabilitazione, Spatuzza cerca di usarla e lei lo incalza con le domande ed è emblematico, sottolineo, che Spatuzza non abbia consentito alla Dino di usare il registratore, mezzo molto spesso utile, se non indispensabile al Giornalista, sia per raccontare la veridicità dei fatti, sia per tutelare se stessi”. 

Ha poi preso la parola Mons. Raspanti che ha detto “ho seguito la stesura del volume durata alcuni anni ed estrinsecatasi in diversi colloqui con il Collaboratore. Ci chiediamo se si tratta o meno di un volume scientifico e molto dipende dall’idea di scienza. Si percepisce il coinvolgimento dell’autrice, investita da una storia, quella di Spatuzza, dalla quale ha dovuto difendersi tenendo a bada se stessa . E’ un testo complesso – ha proseguito il Prelato – che si pone al giudizio di terzi, dell’opinione pubblica, di terzi che possono manipolarlo. Io personalmente lo ritengo scientifico perché la Dino si è attenuta al principio di controllo dei dati ed alla narrazione esplicita con punti di riferimento precisi che sottopone a criteri di verifica. Per quanto riguarda l’attendibilità o meno, della conversione del personaggio – ha proseguito il Vescovo – in alcuni tratti mi ha colpito favorevolmente, in altri mi ha lasciato perplesso e dubbioso. Le censure da lui imposte lasciano perplessi, non so se si tratta di una conversione verace, mi appare comunque palese che Spatuzza ha imparato la lezione”. 

Il Direttore di RAI tre Sicilia, pone quindi un interessante quesito “mi piacerebbe assistere, se questo fosse possibile, ad un confronto tra lui Gaspare Spatuzza e Pietro Aglieri, anche lui preso, dopo l’arresto e dopo il pentimento, da crisi religiosa” ed è ancora Mons Raspanti a rispondere “ci sono elementi che mi fanno, come ho detto prima, pensare che la fede ed il pentimento di Spatuzza siano reali ed è proprio il libro che mi da in mano una lettura cristiana del fenomeno”. Il Vescovo ricorda poi le prese di posizione del Cardinale Pappalardo che furono di netta e chiara condanna nei confronti di mafia e mafiosi. Cita ancora Mons. Cataldo Naro e ricorda gli interventi di Giovanni Paolo II che citò frasi fondamentali del Vangelo quali “Giudizio, Inferno e Conversione”, parole che anche lo Spatuzza usa, perché evidentemente, nella solitudine del carcere, ha avuto modi di leggere questi testi. Per i mafiosi, dice Mons. Raspanti “il linguaggio è costitutivo del fenomeno mafia, dell’ambiguità del linguaggio, loro se ne servono mutandolo a piacimento, inventandosi codici al momento, il linguaggio è ad uso in termini tecnici ed è menzogna, questo è il cuore della mafia. In teologia – prosegue il Vescovo – la menzogna mi fa fare un’analisi più approfondita, Spatuzza si crea una nuova identità con l’uso del linguaggio e tenta di strumentalizzare l’autrice, affinché questa si faccia portavoce del suo reale pentimento, Spatuzza definisce la fede svolta di vita, ammettere di avere fallito nella vita e che, proprio la fede gli ha permesso il passaggio dalle tenebre alla luce, dal non vedere al vedere. Spatuzza – conclude Mons. Raspanti – ha visto l’inganno quando è uscito dalla mafia, ha capito quanto la menzogna avesse sembianze di verità e quanto questa cerca di imporsi come tale”.

E’ stata poi la volta del Procuratore Roberto Scarpinato “l’autrice ha preso atto di una linea di confine voluta da Spatuzza, il quale sa benissimo che quelle stragi ed i depistaggi, vanno al di là degli interessi della mafia e quindi entrano come diceva Giovanni Falcone, nel “gioco grande del potere”. Sui Graviano, lo Spatuzza, dice che ci sono cose che non si possono dire, così come fece Tommaso Buscetta quando venne invitato a parlare dei legami tra politica e mafia e ne parla solo quando crolla la prima repubblica – il Procuratore continua – poche centellinate parole che Spatuzza si è lasciato sfuggire hanno messo a rischio la sua posizione nel programma di protezione, lui racconta di un personaggio esterno alla mafia che partecipò alla sistemazione dell’esplosivo e del congegno a distanza che venne piazzato nella Fiat 126 usata per uccidere Borsellino, ma non rivela il nome dell’esterno che, infatti, non è mai stato individuato, questi fa sicuramente parte del mondo degli intoccabili. Nel ’98, nel carcere di L’Aquila, Spatuzza da notizie ai Procuratori Vigna e Grasso e gli dice di non conoscere il nome dell’esterno perché non gli venne rivelato dagli altri mafiosi presenti, segno preciso che non si trattava di uomo appartenente alle famiglie mafiose. La commissione, per queste sue reticenze, nel 2010, gli revoca la protezione, proprio perché lui aveva fatto i nomi degli desecutori materiali, ma non quelli dei personaggi vicini alla parte politica. Del resto – prosegue Scarpinato – ricordo una intercettazione tra Santino Di Matteo e la moglie subito dopo che venne rapito il figlio, questa gli dice esplicitamente di non parlare mai degli infiltrati della polizia nella mafia. Questo di Alessandra Dino – dice ancora il Procuratore – è un libro sofferto e l’autrice si rende conto dello stress emotivo che l’ha presa sino al punto quasi di non riuscire a reggere. Spatuzza si rivela come una presenza inquietante, proprio perché non si può definire un mostro. Spatuzza non ha vizi, non si è mai arricchito, fa una vita modesta, non è preso da bramosie sessuali e quindi quale è mai la spiegazione che lo ha condotto a fare tali crimini? E se Spatuzza fosse normale? Se fosse proprio l’emblema di quella Banalità del male  scritto da Hannah Arendt, riferito al nazista Adolf Eichman?

E’ Michele Graviano – racconta ancora Roberto Scarpinato -che lo avvia alla vita di mafioso. Spatuzza lo eleva a modello di padre realizzato ed affermato, lo sceglie come modello vincente, diviene la personificazione della potenza e lo sostituisce al padre naturale che è, ai suoi occhi, un perdente, perché umile imbianchino ed occasionalmente venditore di frutta. Anna Freud – cita il Procuratore – figlia di Sigmund, durante i bombardamenti si accorge che i bimbi tedeschi disegnavano se stessi come piloti inglesi che erano considerati, evidentemente, dentro i loro aerei, invincibili, ecco ciò che esercita la potenza sull’adolescenza. Neppure Don Massimiliano, scelto da Spatuzza come confessore, riesce a spiegarsi perché egli preferisca Graviano a suo padre. Bisogna quindi analizzare chi è il padre nella psicanalisi: è colui che ti fa vivere come soggetto, non solo chi ti mette al mondo, ma colui che ti da una identità ti fa esistere. Da Graviano, lo Spatuzza, riceve la super identità di uomo di rispetto, riconosce il proprio ruolo esistenziale. Il Procuratore cita anche un altro Collaboratore di Giustizia, Francesco Marino Mannoia, il quale nel corso di un interrogatorio in carcere disse “voi Magistrati non capirete mai perché si diventa famosi, io prima ero nuddu mmiscato cu nenti, poi entrato nella mafia la gente, al mio passaggio, si abbassava la testa”. Per avere una identità forte, colui che non ha visibilità sociale, un nuddu mmiscato cu nienti, si eleva ed esce dal nulla, attraverso complessi processi di identificazione, esce dal nulla ed ottiene una super identità mafiosa. Spatuzza rivela quanto in lui fosse presente l’ansia di non deludere mai Michele Graviano, da lui identificato come padre che lo ha fatto esistere”. Ed ancora Scarpinato racconta “Nel ’95 Gaspare Spatuzza diventa capo mandamento, dai suoi racconti si evince l’ idealizzazione del capo, avvolto da una sorta di aurea di santità, Spatuzza, come abbiamo detto, non ha vizi e, come lo stesso Bernardo Provenzano, usava passi della Bibbia, per esprimersi e per impartire ordini e così lo stesso Michele Graviano, lo imita nel linguaggio. I capi, in pratica, si presentano come padri amorevoli, idealizzano l’organizzazione mafiosa agli occhi dei ragazzi, ispirandosi ad una sorta di giustizia sostanziale. Spatuzza – dice ancora il Procuratore – era convinto di essere servitore con il compito di giustizia e, nello stesso tempo, giustiziere. Le frasi usate sono rituali. Spatuzza, ad un certo punto, cita il nazismo e sostiene che la responsabilità è dei capi e lo fa alla stregua di alcuni soldati nazisti accusati di crimini. In verità – dice ancora Scarpinato – il mondo autoreferenziale ha trovato terreno fertile nei quartieri più poveri, in quei quartieri fatti di persone abbandonate a se stesse, fatti di gente senza speranza di riscatto sociale e qui, il bisogno di appartenenza e identità, offertogli dalla mafia, ha avuto presa facile”. Poi, sempre il Procuratore Roberto Scarpinato, concludendo la sua riflessione, racconta quanto lo stesso Spatuzza ha narrato agli Investigatori “ salivo spesso sul Monte Grifone che sovrasta Brancaccio, territorio del quale ero capo mandamento e riflettevo quanto su quel territorio, su quelle case e su quegli uomini, avessi potere di vita e di morte, ma poi scoprii che i Graviano, alla stregua degli industriali, tenevano due casse”. Spatuzza lo dichiara, dice il Procuratore  “con indignazione, tanto che si crea la frattura emotiva che lo spinge a prendere atto delle cose indegne che facevano i Graviano, dal rapimento e dal sequestro del piccolo Di Matteo, sino agli ordini impartiti per colpire gli innocenti nelle stragi. Spatuzza, a questo punto, desacralizza il padre – Michele Graviano e reagisce al crollo con orfanezza di stato identitario. Spatuzza cerca spunti per crearsi una identità nuova, cerca un nuovo padre in Dio ed il desiderio di trovare un padre nuovo lo porta a confidarsi coi Cappellani, a studiare libri di teologia, i riti religiosi e tutto gli tornerà utile. Spatuzza – conclude Roberto Scarpinato – a posto del padre idealizzato, cerca un padre che gli consenta l’appartenenza, si lega a Don Massimiliano – “in lui vedevo mia Mamma” – dichiara, ma non è con lui che si confessa, perché è troppo giovane. Spatuzza vuole incontrare il Vescovo de L’Aquila, affinché gli impartisca la Unzione degli infermi, perché tornino in lui le forme per ottenere la nuova identità. E’ questo un rito eccezionale che sancisce il percorso come viaggio da un padre ad un altro, una nuova costruzione di senso”. Riflessioni profonde, a nostro avviso, quelle del Procuratore Scarpinato.

Conclude quindi Alessandra Dino, autrice del testo, la quale racconta : “ho vissuto con sofferenza e gioia il fatto di aver finito il libro, anche per il fastidio di confrontarmi con un mondo che mi da ribrezzo, anche se in quel mondo ed in quella Città dove, nonostante i fatti narrati da Spatuzza, io vivo. La mia è una operazione chirurgicamente spietata, fatta dalla qualità di guardare al mondo ed alla verità contestuale. L’incontro con Spatuzza è stato destabilizzante, uno di quelli che sconvolge la normalità, la vicinanza, gli sentivo fare ragionamenti sui politici che io condividevo, sino al punto di sentire il sovrapponimento di idee ma nel contempo percepivo di essere in contatto con la menzogna, con il falso, con la doppiezza e che Spatuzza non poteva raccontare a me le cose che non ha mai dichiarato ai magistrati. Ad esempio – dice l’Autrice – quando parla di Dell’Utri, proprio mentre Berlusconi è capo del governo, non può certo dirmi determinate cose, credo che la cosa più importante per lui, è salvarsi la vita. Spatuzza, destreggiandosi in un gioco di scatole cinesi, ha un terreno mobile che modifica a seconda del clima politico. Nel 2009, quando ormai è convinto di essere stato ammesso nel programma di protezione, fa il nome di Dell’Utri, poi però, il programma di protezione, gli viene revocato.  È chiaro – conclude Alessandra Dino – che la paura della morte lo ha portato a collaborare e desidero mettere in evidenza le sue contraddizioni e le sue ambiguità che sono poi anche quelle del nostro Paese. Un elemento che ritorna nel libro è quello del potere del racconto, che anche per me è stato un processo di ricostruzione, tanto che questo libro mi appare come una sorta di liturgia del dolore, volta a non dimenticare, uno stimolo a guardare ed osservare il dolore subito, provocato, il fardello che non cancella la menzogna, ma attraverso il quale ho cercato di darne conto”. Alessandra Dino ha infine raccontato, di essersi accorta, anche di quanto Gaspare Spatuzza, facesse riferimento al testo di Antonio Gramsci “Lettere dal carcere” e di aver scoperto che questi passasse il suo tempo, non solo a leggerle ed a rileggerle ma anche a trascriverle anastaticamente. 

CORRELATI

Ultimi inseriti