Sono in corso una serie di manifestazioni per ricordare il 46esimo anniversario della morte di Peppino Impastato. Maggio è anche il mese della morte di un altro giornalista, Cosimo Cristina, trovato privo di vita il 5 maggio del 1960 a Termini Imerese, sui binari della ferrovia che portano a Trabia.
Come Impastato, 18 anni dopo a Cinisi. Entrambi “suicidati” dalla mafia. Per Cosimo, 25 anni, neppure la possibilità di un funerale in chiesa. Per Peppino, 30 anni, da subito, anche il “marchio” infamante del terrorista ucciso dall’esplosivo con cui – dissero all’epoca gli investigatori – voleva fare saltare un pezzo di ferrovia.
Per ricordare la loro vita, i loro sogni, l’impegno sociale e la loro passione per il giornalismo, al “No Mafia Memorial” di Palermo l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia ha organizzato un corso di formazione dal titolo “L’impegno e la lezione civile di quei due giovani cronisti dai destini paralleli”, moderato dalla giornalista Gabriella Ricotta. Il presidente dell’Ordine Roberto Gueli ha portato i suoi saluti.
A parlare di Cosimo e Peppino, Umberto Santino, fondatore del Centro di documentazione Peppino Impastato, Giulio Francese, consigliere nazionale dell’ordine dei giornalisti, Carlo Parisi, anche lui consigliere nazionale dell’Ordine e segretario generale della Fige Cisal, Luciano Mirone, giornalista e scrittore, due amici di Peppino Impastato, Carlo Bommarito e Pino Manzella, Alfonso Lo Sardo, presidente regionale BC Sicilia, Luisa Impastato, presidente della “Casa memoria” di Cinisi e nipote di Peppino, Ario Mendolia, direttore del No Mafia Memorial.
“Si è voluto unire nel ricordo Cosimo Cristina e Peppino Impastato – ha detto Giulio Francese – nello stesso contesto non solo per via degli anniversari ravvicinati della loro morte, ma perché abbiamo voluto evidenziare i diversi punti in comune delle tragiche storie di questi due giovani che, seppur in maniera diversa, con la loro attività giornalistica hanno dimostrato di avere una grande passione civile, volevano cambiare il mondo e non avevano paura della mafia, anzi la sfidavano, Cosimo con i suoi articoli, Peppino con l’impegno politico e dai microfoni di Radio Aut. Impastato è stato un grande rivoluzionario, ma lo è stato anche Cosimo Cristina se lo collochiamo nel contesto di Termini Imerese degli anni ’60, in cui la mafia aveva un grosso potere e in cui tutti i delitti commessi nella zona finivano per restare impuniti. Lui, da ottimo giornalista, faceva approfondimenti, si poneva domande, cercava le risposte, scriveva nomi e cognomi dei mafiosi. Ad accomunarli, purtroppo c’è anche la tragica fine, fine, il ritrovamento sui binari, l’immediato depistaggio per far passare le loro morti come suicidio”.
E della “rivoluzione” di Peppino che comincia prendendo le distanze dal contesto mafioso della sua famiglia, del depistaggio e della battaglia per ottenere verità e giustizia ha parlato Umberto Santino, che con il suo Centro di documentazione ha affiancato la famiglia Impastato. Ci sono voluti anni per riconoscere che si è trattato di un omicidio mafioso, ben 24 per arrivare alla condanna all’ergastolo del potente boss Gaetano Badalamenti, che Peppino sbeffeggiava da Radio Aut chiamandolo “Tano Seduto”, signore di “Mafiopoli”.
Delle vicende dei giornalisti uccisi e rimasti senza giustizia si è occupato dalla fine degli anni novanta Luciano Mirone che ha scritto un libro. Con il quale ha messo a posto tanti tasselli e incongruenze anche sulla vicenda di Cosimo Cristina, ricordando che ai tempi si ebbe una gran fretta di chiudere il caso come suicidio, tanto da non predisporre l’autopsia. La riapertura dell’inchiesta nel ‘66 non portò i risultati sperati ma oggi nessuno più dubita che Cosimo sia una vittima di mafia. E di come Termini abbia riscoperto dopo molti anni la figura di Cosimo Cristina ha parlato Alfonso Lo Cascio, ricordando che gli è stata intitolata una via, e che sul luogo in cui fu rinvenuto il cadavere, 50 anni dopo è stata posta una targa che ricorda il suo sacrificio.
“Corsi di formazione come questi sono importanti perché fanno conoscere la storia – ha sottolineato Carlo Parisi–. È un percorso della memoria che stimola la coscienza a prendere atto di quelli che sono i veri valori in questo caso della professione giornalistica, dell’impegno nella società. Soprattutto spingono a credere ancora che svolgere la professione di giornalista in modo serio sia possibile”.
A raccontare chi era veramente Peppino Impastato sono stati i suoi amici di un tempo. “Era quello che dava la spinta a tutte le iniziative in quel contesto così difficile come quello di Cinisi e Terrasini alla fine degli anni ’70 in cui Badalamenti faceva da padrone – ha ricordato Carlo Bommarito, presidente “Associazione amici di Peppino Impastato” -. Lui ha dato spunto e impulso alla lotta alla mafia, per l’ambiente, per l’emancipazione femminile. Peppino diceva sempre che bisogna guardare quello che succede nel nostro territorio e prendercene cura. Ecco, questo manca nei giovani di oggi. Peppino ci manca perché stimolava tutti”.
“Per noi è fondamentale ricordare coloro come Peppino e Cosimo Cristina che hanno semplicemente portato avanti un lavoro e delle idee in cui credevano – ha chiarito Luisa Impastato, presidente di “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato Onlus” -, penso che sia urgente rimettere al centro del dibattito l’importanza della libertà di stampa e del giornalismo di inchiesta. In tal senso storie come quelle di Peppino e di Cosimo Cristina sono un importante stimolo a riflettere. Noi lavoriamo molto sull’importanza della collettività, anche Peppino stesso metteva al centro la forza dello strumento collettivo e la costruzione di comunità come mezzo di resistenza, probabilmente la figura carismatica del singolo può essere un motore, ma secondo noi dove c’è coesione è possibile vincere la sopraffazione”.