Dal prossimo sabato 8 aprile, palermitani e turisti potranno visitare, per la prima volta nella sua lunga storia, il Monastero domenicano di clausura di Santa Caterina in piazza Bellini. Il convento e la sua celebratissima chiesa costituiscono uno dei complessi monumentali più importanti della città. L’edificio è inutilizzato da qualche anno, dopo che le ultime anziane monache, un tempo famose per gli straordinari dolci prodotti, hanno dovuto lasciarlo non potendone più garantire la gravosa conduzione. In accordo con la Sovrintendenza e i responsabili del FEC (Fondo edifici di culto del Ministero degli Interni), la Curia arcivescovile di Palermo, cui è affidata la gestione del bene, ha deciso di rendere accessibile ai visitatori una significativa parte del vasto complesso conventuale, autentico palinsesto di storia e di architettura. Il Monastero torna dunque oggi al centro dell’interesse e dell’impegno dell’Ufficio beni culturali dell’Arcidiocesi, di recente diretto da don Giuseppe Bucaro.
“Restituire alla società tutta un così alto patrimonio di cultura e di spiritualità, parte fondamentale della storia di questa nostra città di Palermo”, dice l’Arcivescovo Don Corrado Lorefice, “oltre che un dovere è per la Chiesa una grande gioia. Il nuovo corso che intendiamo dare al servizio dei Beni Culturali della arcidiocesi è scoprire e trasmettere i contenuti teologici e spirituali del patrimonio d’arte ereditato dai nostri padri. L’apertura di un chiostro di un convento di stretta clausura papale è un avvenimento eccezionale e un primo passo del progetto che intende ricreare sinergia tra la società civile, artisti e la Chiesa, riprendendo, altresì, il dialogo tra la chiesa di Palermo e l’arte contemporanea avviato dal cardinale Pappalardo”.
“Il Complesso monumentale dedicato a Santa Caterina”, afferma il sindaco On. Prof. Leoluca Orlando, “sorge nel cuore della Città; con la sua splendida armonia di spiritualità e di arte è parte bellissima di radici al tempo stesso della fede e della vita civile. La rinnovata attenzione e l’apertura ai visitatori di questa splendida tessera del Mosaico Palermo è un dono prezioso a Palermo in questo tempo chiamata in modo esigente e coerente a coniugare passato e futuro, radici ed ali. Di questo dono il Sindaco avverte a nome della Città il dovere di esprimere gratitudine e ammirazione a quanti hanno reso e renderanno possibile il riflettere su ispirazione teologica ed espressione artistiche su vita spirituale e impegno civile”.
“E’ un giorno significativo per noi”, ha affermato la Soprintendente regionale dei Beni Culturali di Palermo, dottoressa Maria Elena Volpes. “Si riscontrano oggi tutte le sinergie giuste per restituire l’anima al Monastero più rappresentativo della nostra città. Restituire vita al Monastero significa restituire vita alla città tutta. Il Monastero – ha proseguito – racconta una storia fatta di tanta bontà! Buone sono le cose che hanno fatto le monache, ricordo in particolare l’assistenza ai bambini, e buoni sono i diversi dolci che le monache hanno sempre preparato e che noi abbiamo avuto la fortuna di assaggiare all’interno”.
Anche i dolci, infatti, hanno una parte piccola, ma significativa parte nell’ampio progetto di recupero e di riuso del bene, che passa attraverso il pieno rispetto della sua storia e delle sue tradizioni.
Don Giuseppe Bucaro ha tracciato le tre linee fondamentali di un programma volto a preservare, ma al tempo stesso a rivitalizzare il Monastero, che tornerà ad ospitare una comunità monastica, sarà sede di un museo etnoantropologico delle monache domenicane di clausura e ospiterà un centro di teologia della bellezza. Quest’ultimo è un progetto cui don Bucaro, in piena sintonia con l’arcivescovo, tiene particolarmente: studiare e attualizzare i contenuti teologici dei nostri monumenti religiosi, con l’obiettivo di diffonderne i significati ai visitatori e realizzare, altresì, momenti di preghiera e contemplazione tramite il bello che ci è stato tramandato. Sono già stati avviati contatti con la Soprintendenza, la Facoltà Teologica, l’Università, il Conservatorio e l’Accademia di Belle arti di Palermo.
La nuova piantumazione del Chiostro è curata dal professor Francesco Maria Raimondo, già direttore dell’Orto botanico di Palermo, per conto dell’amministrazione comunale. “Il chiostro è un gioiello”, dice Raimondo, “che merita un recupero storico anche del verde. quindi le essenze che sono state inserite rispecchiano questo obiettivo”.
Dulcis in fundo gli chef Peppe e Luigi Giuffrè hanno studiato e provato le antiche ricette dei famosi dolci delle monache e realizzeranno un punto degustazione aperto al pubblico.
Sabato 8 e Domenica 9 il Monastero di Santa Caterina sarà dalle ore 10,00 alle ore 19,00. Mentre da lunedì 10 e fino al 25 aprile, con esclusione del 14 Venerdì Santo, sarà aperto dalle ore 10,00 alle ore 15,00. Non sarà un’apertura indiscriminata. Si entrerà a piccoli gruppi. Si chiederà un contributo di 3 €. I fondi raccolti saranno destinati al restauro del portale medievale d’ingresso della sala capitolare del convento. Giovedì Santo, 13 aprile, alle ore 18,00 sarà celebrata la S. Messa della Cena del Signore. Dopo la celebrazione la Chiesa sarà aperta tutta la sera e la mattina del Venerdì Santo per la visita all’altare della Reposizione ( i famosi sepolcri che verranno addobbati secondo lo stile delle Suore).
L’idea è di rendere il bene sempre fruibile ma per la sua corretta conservazione, dopo il 25 aprile, i successivi giorni di apertura saranno decisi in accordo con la Soprintendenza. Alla conferenza stampa di oggi era presente il gruppo della Soprintendenza che ha verificato la sussistenza dell’interesse culturale del Monastero: gli architetti Lina Bellanca e Silvana Lo Giudice, le dott.sse Maria Reginella e Carolina Griffo, storiche dell’arte, la dott.ssa Carla Aleo Nero archeologa, la dott.ssa Daniela Ruffino archivista e il geometra Simone Aiello.
Il Monastero di Santa Caterina è importante perché è uno dei pochi a non aver subito gravi devastazioni nel difficile passaggio dei beni religiosi allo Stato post unitario (1866 – ’67 leggi di eversione dell’asse ecclesiastico). Con i suoi spazi eleganti e armoniosi pervasi di pace silenziosa, gli oggetti realizzati dalle suore, le preziose ceroplastiche, le ampie cucine, costituisce la rara testimonianza di un modo di vivere, l’immagine di una vera e propria città di Dio segregata e al tempo stesso integrata nella città degli uomini. La fondazione del convento si deve alle volontà testamentarie, datate rispettivamente 1310 e 1311, della ricca aristocratica palermitana, Benvenuta Magistro Angelo (Mastrangelo), sposata con Guglielmo conte di Santo Fiore e della mamma Palma sposata con Ruggiero, che fu capitano di Palermo all’indomani della rivolta del Vespro. Nella loro configurazione attuale, le fabbriche si articolano attorno a un ampio chiostro con al centro una bella fontana di Ignazio Marabitti, sormontata dalla statua di San Domenico. In un angolo del chiostro si può ammirare un obelisco (torre piezometrica) con i simboli domenicani. Sul lato orientale del Chiostro si trova il prospetto medievale dell’aula capitolare. Attualmente oltre al Chiostro sono visitabili la stanza della priora, la sacrestia, l’aula capitolare, il refettorio, e le cucine.
Santa Caterina fu un monastero ricco e potente che, al culmine della sua prosperità, annoverò 400 suore, la maggior parte provenienti dalle più nobili famiglie dell’isola. Nel suo libro sul “Monastero di Santa Caterina e la città di Palermo, secoli XIV e XV”, la professoressa Patrizia Sardina ricorda che accanto a fanciulle costrette dalla famiglia a prendere il velo, figuravano ragazze che sceglievano la vita monastica liberamente per varie ragioni, alcune per vocazione, altre per evitare un matrimonio sgradito. Frequentemente si preferiva porre le figlie nel medesimo monastero. Così le sorelle più grandi avevano il compito di proteggere e seguire le piccole.
L’importanza sociale delle badesse, i vasti possedimenti del Monastero ne fecero uno specchio della società del tempo. Attorno alle sue mura s’intrecciarono complessi rapporti di alleanze politiche e familiari. Le monache possedettero schiave e, come è stato fino a non molto tempo fa, erano affiancate da domestiche per i lavori più umili. Ospitavano donne affette da malattie invalidanti e vedove che decidevano di ritirarsi in convento. Anticamente, erano famose per le rose che venivano utilizzate per confezionare medicamenti o per scopi cosmetici. Diversi documenti trecenteschi attestano la coltivazione dei roseti di Santa Caterina nelle contrade Zisa e Sant’Oliva, irrigati con l’acqua del fiume Gabriele.
Le nobildonne palermitane formulavano voti e promesse, donando al convento le loro vesti più ricche, le selle d’argento, i gioielli perché fossero trasformati in paramenti e oggetti sacri. La soppressione degli enti ecclesiastici ha fatto sì che molti di questi oggetti, incamerati dallo Stato, non giungessero fino a noi. Alle religiose fu tuttavia consentito di continuare a vivere nel convento secondo la regola dell’Ordine domenicano, preservando intatti spazi, vocazione e valenze iconiche dell’edificio.