L’attrice milanese Veronica Pivetti, la prof ormai più amata della televisione italiana, si cimenta adesso nella regia cinematografica: Né Giulietta, né Romeo è la storia toccante di un sedicenne che prende coscienza della propria omosessualità. Ma il conflitto, con la sua famiglia impreparata ad accettare la sua rivelazione, diventa purtroppo traumatico: la reazione negativa alla sua omosessualità lo spingerà, infatti, a scappare di casa. Presentato in anteprima al Festival di Giffoni, da giovedì 19 novembre il film uscirà nelle sale. Un tema delicato, quello dell’omosessualità, trattato con intelligenza, sensibilità e realismo: “I genitori dovrebbero essere figure in grado di aiutare i figli ad esternare le emozioni e non dovrebbero pertanto avere un atteggiamento coercitivo come accade nel film – sottolinea Veronica Pivetti – l’omosessualità non dovrebbe essere assolutamente un problema, ma lo diventa invece in questo Paese ancora pieno di pregiudizi e discriminazioni”.
L’Associazione Nazionale ANDDOS, contro le discriminazioni da orientamento sessuale con oltre 150.000 iscritti in tutta Italia, ringrazia la regista Veronica Pivetti per aver voluto trattare il tema dell’omosessualità, elogiando le sue parole contro l’omofobia: “Pregiudizi ed intolleranze – rimarca il presidente nazionale Mario Marco Canale – fomentano ed acuiscono fenomeni di discriminazione, esclusione sociale, bullismo e violenza. La magia e la purezza dei sentimenti devono essere più forti dei pregiudizi. Ed i pregiudizi sono nemici devastanti. Quando un giovane si rende conto della propria omosessualità inizia un percorso personale non facile, spesso anche doloroso, di quell’accettazione di se stessi e di integrazione con il mondo esterno. Con la paura sempre più forte di non riuscire ad affermare la propria identità sessuale, perché le prospettive di svelarlo agli altri appaiono con risvolti traumatici. Ecco allora che le paure li assalgono: mi sento sbagliato, mi sento in colpa, mi sento rifiutato. Ho paura di deludere i miei genitori, sarò destinato ad essere emarginato dai miei amici, gli altri mi vedranno debole e femminile, nessuno mi affiderà un lavoro di responsabilità. E poi la chiesa: l’omosessualità è contro i valori cristiani. Sarò accettato? Potrò mai dire ad un ragazzo che mi sento attratto da lui? O meglio sarà iniziare storie eterosessuali per provare a se stessi ed agli altri di essere eterosessuale, vivendo nella clandestinità esperienze omosessuali? E quanti hanno un padre in famiglia che almeno una volta lo hanno sentito pronunciare una frase del genere: se avessi un figlio così lo caccerei di casa! La scoperta dell’omosessualità in famiglia costituisce, nella maggior parte dei casi e come descritto anche nel film, un momento critico e traumatico all’interno dell’equilibrio familiare, per i significati che associano i genitori alla condizione dei gay e perché l’omosessualità fino a quel momento era stata sempre concepita dai genitori come una realtà lontana. Come se l’idea di un’attribuzione dell’omosessualità verso un proprio figlio sia così impensabile da essere inaccettabile. Anche i genitori di più larghe aperture mentali avrebbero difficoltà a gestire la rivelazione del proprio figlio, senza farsi prendere dal panico iniziale. Abbiamo visto genitori reagire con ricatti psicologici e materiali, minacciando il proprio figlio di sottrargli l’affetto genitoriale e perfino il sostegno economico. In una condizione simile, il destino di questi giovani sarebbe inevitabilmente segnato dall’insoddisfazione, dallo scoramento, dalla solitudine e dalla sfiducia. La vergogna che provano spesso questi genitori, preoccupati dal giudizio della gente, aggiunge solo sofferenza alla situazione, quando invece i loro figli avrebbero solo bisogno di comprensione, affetto e sostegno”.