venerdì, 22 Novembre 2024
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L’irreale si sostituisce alla verità: la fotografia di Raffaele Rinaldi

“La mia fotografia è finzione... appare assolutamente normale e verosimile usare una torta per cappello”. Intervista al fotografo Raffaele Rinaldi

La nostra mente immagazzina tantissime immagini, molte volte anche in maniera passiva, ma quando una di queste riesce a sorprenderci o ad illuderci, riuscendo anche a portarci in una dimensione surreale, quasi per gratitudine nasce in noi la curiosità di saperne di più, sia dell’immagine stessa che dell’autore.

Siamo anche portati a chiederci cosa spinga un essere umano ad impugnare una fotocamera, procedere con una serie di impostazioni, inquadrare un soggetto, scattare una fotografia e poi trascorrere altro tempo al pc. Credo che alla base di tutto ci sia la voglia di comunicare, di inviare un messaggio, di esprimersi.

Desidero parlare di questo presentando un fotografo, Raffaele Rinaldi.

Siciliano classe ’73, palermitano di origine, dopo un periodo dedicato agli studi scientifici e musicali, ovvero il liceo classico e il pianoforte al conservatorio, lascia la Facoltà di Medicina e decide di trasferirsi a Firenze, formandosi all’Accademia di Belle Arti. Qui inizia a sorprenderci con una serie di scatti nati da una prova d’esame in cui veniva chiesto di trattare l’argomento “Cibo”. Nasce così la coloratissima serie “Sweet Beauty”. Dai dolci ai frutti, usati come accessori sulle modelle da lui scelte, prosegue il suo sorprendente lavoro con le nuove serie “Animal” e “Toys”, con una caratteristica che contraddistingue tutte le sue fotografie: l’eleganza.

Con un sicuro linguaggio estetico e comunicativo Raffaele Rinaldi, con la fotografia, riesce a collocare oggetti e soggetti in una dimensione surreale.

Allora dopo aver visto le sue fotografie ho voluto porgli delle domande.

Ciao Raffaele, quando la Redazione di questo giornale mi ha chiesto di collaborare proponendo delle interviste, il mio pensiero è subito volato a te. Mi è tornato alla mente uno dei tuoi lavori, l’autoritratto, ovvero la sequenza di tre immagini, dove sei protagonista, dentro una vasca colma d’acqua che come scrivi tu “con il suo potere purificatorio, libera dallo sporco e dal peccato, ma finisce per uccidermi”. Era esattamente la sensazione che provavo in quell’istante, ma eccoci qui. Sorrido. Partendo proprio da te, quindi, ricordi la tua prima fotografia e l’esatto momento in cui hai capito che era questo che volevi fare nella tua vita?

«La sequenza di cui parli fa parte di alcuni lavori di autoritrattto che descrivono la fobia, l’intolleranza alla sporcizia e all’imperfezione, la paura per le malattie e la conseguente compulsione purificatoria. L’acqua allontana momentaneamente l’ansia ma finisce per annegarti, per allontanarti per la vita stessa che vorresti proteggere. Sono tematiche delicate che preferisco comunicare tramite immagini: la forma della sequenza temporale poi, mi permette di raccontare più facilmente una storia di senso compiuto. Il senso di mistero che queste immagini suscitano, è un po’ di gusto surrealista. Quando ho capito che volevo fotografare? Tardi. Sono uno che ha capito cosa voleva fare da grande quando era già grande, ma l’amore per la fotografia esisteva da moltissimi anni, pur se non ancora incanalato in una professione. Ho semplicemente avuto il coraggio di ammetterlo e lasciare quello che stavo facendo».

A proposito di immagini, sappiamo che quelle dipinte o fotografate sono mute ma un Artista può farle parlare. Tu hai un passato come studente di pianoforte al conservatorio, come pensi di poter rappresentare la musica nei tuoi lavori, se non lo hai già fatto. E come pensi che questa possa influire nel tuo lavoro?

«Francamente credo che le immagini debbano prescindere dalla musica; parlare senza bisogno di un accompagnamento musicale e senza molte parole, giusto un titolo, poi andar da sé. Devono suscitare emozioni senza avvalersi della “facilitazione” di una colonna sonora, che tipicamente influenza il nostro animo, né di una spiegazione articolata. Se una fotografia ha bisogno della musica o di parole per piacere è, semplicemente, una foto che non funziona. È innegabile che gli studi musicali abbiano completato la visione complessiva della storia dell’arte, perché i movimenti artistici quasi sempre camminano insieme, dalle arti visive alla musica e alla letteratura».

Ritornando un po’ alla tua biografia: alla medicina hai preferito la fotografia. Si dice che senza passione sia improbabile raggiungere i propri sogni. Quanto è vera, secondo te, questa affermazione e quanto credi sia importante la passione nel tuo lavoro?

«Certi lavori hanno bisogno di passione, per essere ben fatti. Anche la medicina era una passione, ma non si possono coinciliare due passioni così impegnative, occorrerebbero due vite: bisogna scegliere».

Parlando di vita: l’amicizia con altri Artisti, che siano scrittori, pittori o musicisti, possono aggiungere qualcosa al mestiere di fotografo?

«Molto, mi sono formato a Firenze, in un’accademia di belle arti. Ricordo una cara amica pittrice, i pomeriggi davanti ad un caffè, a discutere dei rispettivi progetti. Camminare insieme, trovare punti in comune, influenzarsi a vicenda: sono stimoli essenziali per il proprio percorso artistico».

Quindi cosa ha a che fare la tua fotografia con la verità?

«Nulla. La fotografia, di per sé, non può riprodurre la realtà, può interpretarla, in modo del tutto soggettivo. La mia fotografia è finzione, non racconta la verità delle cose; i miei set sono creati appositamente per quei pochi minuti che occorrono ad eseguire lo scatto e raccontano situazioni tipicamente surreali. Eppure sfruttano quell’idea secondo cui la fotografia porti in sé una patente di autenticità; in tal modo, le mie immagini, possono spiazzare e sorprendere l’osservatore: ecco che appare assolutamente normale e verosimile usare una torta per cappello, vivere in una boccia da pesce rosso o fare il bagno con delle vere papere».

       

Hai parlato di autenticità. A tal proposito, cosa pensi del foto-giornalismo: ti interessa? Ti piace scendere in strada a fotografare attimi di vita, di cronaca? Pensi di poter riuscire, con le tue fotografie, a raccontare la società?

«Il foto-giornalismo è un genere di fotografia affascinante ma che non fa parte del mio mestiere. A me piace creare da zero, inventare, costruire il set; mi troverei a spostare oggetti o dirigere attori anche per strada, non credo sia questo il concetto di reportage».

Partendo da questo allora, quanto è importante, per te, il rapporto che si instaura con il soggetto da fotografare?

«Se la modella è brava, puoi anche non conoscerla. Bastano due parole ed è in grado di interpretare quello che ti serve. Il rapporto umano tuttavia è importante ed essere a tuo agio con la modella e viceversa, consente di ottenere risultati mediamente migliori».

Parliamo di solitudine, elemento quasi costante per un fotografo. Come sappiamo la solitudine è importante, perché ci permette di entrare in contatto con l’ambiente circostante e l’ambiente circostante non è fatto solo di esseri umani. Quasi tutte le tue modelle hanno uno sfondo 

neutro, quanto dei tuoi silenzi c’è in quello sfondo e in questa voglia di isolare il soggetto? Ma soprattutto, quanto lavoro c’è dietro ad ogni scatto?

«Di silenzi ne avrei tanti da raccontare ed è vero che i miei sfondi siano neutri, nel senso di fondali a “tinta unita”; ma essi spaziano nel colore. La serie “Sweet” e “Fruit” sono coloratissime, non potrebbero essere diversamente; la serie “Animal” un po’ meno, ogni volta secondo le esigenze della storia da raccontare. I miei scatti sono tendenzialmente complessi nella realizzazione soprattutto perché, per forza di cose, attingo dal mondo reale e non amo il fotomontaggio. Quindi i miei animali sono veri, vanno diretti ed assecondati, non sempre sono nella posa giusta: uccelli, pesci, gechi, gatti… Insomma, sono in bella compagnia!»

A proposito di complessità nell’esecuzione dei tuoi scatti. Fotografi solo in digitale oppure ti piace tornare alla pellicola? Colore o bianco e nero?

«Sono del 1973, ho avuto tanto tempo per usare la pellicola. In accademia utilizziamo, in abbondanza, tecniche di sviluppo e stampa tradizionali. Ma il digitale è più pratico e quasi tutte le mie foto sono a colori. L’uso della pellicola e del bianco e nero è limitato a particolari esigenze».

Ho potuto notare seguendoti sui social che ami correre, che ti piace percorrere lunghe distanze. Pensi che l’attività fisica possa aiutarti a meditare, a darti nuovi spunti per i tuoi lavori? È anche così che nasce in te una nuova idea, una nuova foto da realizzare?

«La corsa aiuta il benessere fisico e psicologico. Non c’è una regola per le idee. Vengono e basta, qualsiasi cosa stia facendo».

Ho davanti due tue fotografie, una è la “Pescatrice” e l’altra è “Vita da pesce rosso”, entrambe tratte dalla serie “Animal Beauty”. Quanto c’è di autobiografico? Hai voluto parlare del tuo amore per il mare? Oppure delle tue idee sull’ambientalismo e sul rispetto degli animali?

«Parlano di quello che mi piace, la Sicilia, le tradizioni, il mare. E il rispetto per gli esseri viventi. Nella foto degli “Inseparabili” c’è l’inversione dei ruoli, con la modella in gabbia e i pappagalli finalmente liberi; in “Vita di un pesce rosso” la modella è costretta in un ambiente non suo, rinchiusa in una boccia di vetro, la condizione assurda in cui si tengono i poveri pesci rossi; o ancora in “Ciechi”, falco e falconiere sono uniti empaticamente nella privazione della vista; in “Who is the animal?”, il gatto indossa un elegante collare a fisarmonica e l’essere umano un collare da bestie. Credo che ci sia terreno 

per riflettere sulla cosiddetta superiorità morale della specie umana».
Argomento davvero importante questo da te accennato, sulla superiorità morale della specie umana. Allora ti chiedo, conoscendo il tuo amore per la natura e soprattutto per il mare: pensi che la fotografia digitale sia ecosostenibile?

«La fotografia digitale ha consentito l’eliminazione dei bagni di sviluppo chimico, ma soprattutto ha ridotto significativamente il processo di stampa. Oggi moltissimi godono delle proprie fotografie sullo schermo, limitando la stampa alle immagini più significative». 

Per concludere e ringraziandoti per il tempo che ci hai dedicato, Raffaele, cosa pensi dei social e di  internet e come possono essere utili a chi fa o vorrebbe fare questo mestiere? Ti avvarrai di questi strumenti di comunicazione per il tuo prossimo progetto, oppure avremo il piacere di visitare una tua personale?

«I social sono il presente. Non so dire cosa saranno in futuro, ma oggi sono una possibilità incredibile per veicolare i propri lavori a migliaia di persone. Ho una pagina Facebook, oltre che un sito internet. Per vedere le stampe, presto una mostra pure a Palermo

Le foto sono state concesse dall’autore Raffaele Rinaldi

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