Palermo, 16.01.2017 – Un paio di calze indossate elegantemente che, grazie all’ingegno di una designer israeliana, si trasformano in un oggetto di laico culto letterario, confermano l’originalità, la creatività, la voglia di ricerca di Daniela Scimeca scrittrice palermitana. Ma anche l’interessante abbinamento di una linea di gioielli artigianali creati appositamente da un orafo palermitano, che si accostano alla figura di Federico II, protagonista del secondo libro della scrittrice.
L’abbiamo incontrata nel momento in cui si gode il successo delle sue fatiche letterarie già pubblicate, ma con la mente proiettata alla nuova pubblicazione prossima a venire, di cui però non ha voluto, per scaramanzia, dirci di più.
Nella nostra conversazione Daniela Scimeca, che di professione è insegnante, ci racconta della sua infanzia di bambina molto vivace cresciuta a pane e libri, grazie anche al padre letterato che le leggeva a voce alta i classici della letteratura. Una vita che subito prende una piega ben precisa, come si evince dalla prima domanda che le poniamo in questo nostro breve incontro.
Dalla sua biografia cogliamo una precoce passione verso la scrittura, che si concretizza con il primo premio di giornalismo giovanile “Dario Arrigo“. Ci racconti di quella esperienza e soprattutto ci riporti indietro con la mente, quando lei cominciava a muovere i primi passi nel mondo della scrittura.
“Questa predisposizione per la scrittura c’è sempre stata sin da quando piccolissima frequentavo la scuola, solo che era incanalata in quelle che erano le forme canoniche: il riassunto, la relazione, al liceo classico il tema. Quindi questa scrittura non è venuta subito fuori nella sua creatività, che poi è la parte più importante, quella che più ci caratterizza. All’università ho avuto finalmente la possibilità di sperimentare una scrittura che fosse più soggettiva e che stimolasse la mia creatività. Quindi ho cominciato a poco a poco, grazie anche alla partecipazione a concorsi, a confrontarmi con una scrittura diversa. Quel primo premio è stato importante perché per la prima volta ho capito che quella era una potenzialità, che comunque andava incanalata, dovevo studiare per coltivarla e affinarla”.
‘La lunga marcia verso casa‘ pubblicato nel 2011 da SBC Edizioni e il ‘Mistero della tomba di Federico II‘ pubblicato nel 2014 da Bonfirriaro Editore, sono i titoli dei suoi libri. Qual’è il filo conduttore che li unisce e la genesi degli stessi che si innesta con il percorso da lei intrapreso da giovane.
“In realtà questi due libri, ambientati in due epoche diverse, sono molto diversi tra loro, perché il primo parla dell’esperienza che ebbe mio nonno nella II guerra mondiale durante la quale fu fatto prigioniero e portato in un campo di concentramento, riuscendo poi a tornare a casa; il secondo invece è un thriller che parla di Federico II e di questa donna misteriosa sepolta accanto a lui. Se proprio devo trovare un legame posso individuarlo all’interno della mia famiglia che è presente anche nel secondo libro: pochi giorni prima della sua morte mio padre mi fece leggere un articolo che parlava della tomba di Federico II, sottolineando che secondo lui c’era del materiale sul quale potevo lavorare. Quella discussione la considerai come una sorta di testamento morale: venti giorni dopo la sua morte, quando cominciavo a elaborare il lutto, mi resi conto che quello poteva essere un modo per andare avanti”.
Con il Mistero della tomba di Federico II, lei si è occupata di fatti storici inerenti la sua città, Palermo. Quali emozioni sono scaturite dall’avere indagato all’interno di vicende spesso misteriose e caratterizzate da un alone di segretezza?
“Certamente fare un’indagine così complessa, quindi andare a scavare tra le stratificazioni del passato, ti dà delle emozioni molto forti, ma soprattutto la consapevolezza del contesto in cui viviamo che è molto stratificato. Ho attinto dalla cultura dei popoli, ho fatta mia la consapevolezza di non perdere questa ricchezza, che abbiamo guadagnato nei secoli e di trasmetterla anche attraverso i miei libri. Palermo è una città che, nonostante le sue pecche e contraddizioni, rimane una bellissima città. Personalmente ho scelto di rimanere a Palermo non solo perché mi piace, ma anche per cercare di dare un contributo per cambiare le cose, lamentarsi non serve a niente. Bisogna, secondo me essere un poco più propositivi”.
Il professore Tommaso Romano in un suo recente intervento pubblico ha affermato che la ricerca della storia è in divenire. Di conseguenza le verità storiche possono essere confutate da queste ricerche. Desideriamo conoscere il suo punto di vista in relazione alla sua esperienza personale.
“Concordo abbastanza con questa linea di pensiero, anche perché la ricerca, soprattutto quella storica non si ferma mai. Non dobbiamo pensare che i libri di storia debbano rimanere sempre così, ci sono sempre delle nuove scoperte che posso sempre confutare ciò che riteniamo valido fino a quel momento. Vale per la storia, ma vale anche per la fisica se pensiamo a Einstein con le sue teorie rivoluzionarie. Nel mio romanzo mi soffermo su due valori: uno è il valore della verità che resta tale anche quando è scomoda; l’altro è il valore della microstoria, quella non ufficiale, che non è scritta, ma che a volte determina i fatti, li cambia in un modo o nell’altro e che quindi è importante”.
Cosa le piace e cosa non le piace della sua città. Certamente un punto di vista qualificato il suo in quanto ne conosce la storia e la vive ogni giorno. Federico II se fosse ancora in vita cosa ne penserebbe secondo lei?
“Amo Palermo e come già detto ho scelto di viverci. Non mi piace un certo modo di essere dei siciliani e dei palermitani in particolare, questo accomodarsi, non cambiare mai, questa reticenza al cambiamento come se il cambiamento fosse sempre negativo. A volte c’è il cambiamento positivo. Questa eccessiva noncuranza della cosa pubblica che non è di nessuno. Federico II sarebbe così sconvolto che rimarrebbe senza parole, per il fatto stesso che le epoche sono completamente diverse: ai suoi tempi Palermo era una grande città ed un punto di riferimento non solo sociale, ma anche culturale. Lui aveva una corte piena di letterati, poeti, scienziati, matematici, filosofi, credo che Palermo abbia perso questo ruolo ed è un peccato. Se noi pensiamo quello che sta succedendo in Medio Oriente in Nord Africa, per la sua posizione geografica Palermo avrebbe potuto essere nei secoli il punto di riferimento e di mediazione per i popoli” .