In questi giorni si fa sempre più insistente la voce che la libertà di stampa sia minacciata. Secondo molti, qualcuno vorrebbe assoggettare l’informazione a proprio uso e consumo, cercando di limitare quelle notizie che potrebbero danneggiare l’immagine di quei potentati che mirano ad asservire chi scrive o documenta fatti giudicati scomodi.
A difesa dell’informazione, almeno nel nostro bel Paese, viene in aiuto la Costituzione (approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948). I padri fondatori hanno previsto quanto scritto nell’Articolo 21.
Cosa dice l’Articolo 21 della Costituzione?
Art. 21 “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
L’Articolo 21 trova un rafforzamento ulteriore ne “La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale dichiarazione definisce la libertà di espressione come “la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni, uno dei diritti più preziosi dell’Uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”.
Ma siamo davvero liberi di esprimerci?
Ci piace pensarlo, ma la realtà racconta un’altra storia. La tanto sbandierata libertà di espressione viene messa sempre più in discussione, spesso attraverso una parola che nessuno ama pronunciare: censura.
Chi scrive, spesso per paura di ripercussioni, si autocensura ancora prima di mettere mano alla tastiera. Un po’ come il mitico Tafazzi, che si colpisce ripetutamente agli zebedei da solo. Altri, invece, trovano il coraggio di esprimere le proprie opinioni e finiscono bersagliati da critiche denigratorie o, nei casi peggiori, trascinati in tribunale.
Ma non è una novità. La storia ci insegna che la censura è sempre stata un’arma del potere. Durante il fascismo, l’informazione era controllata rigidamente. Oggi, in alcuni regimi totalitari, i giornalisti vengono incarcerati o, peggio ancora, eliminati fisicamente, e l’informazione è pilotata dal “dittatore”. Ma il problema non è solo dei regimi autoritari: anche la democrazia occidentale non sembra immune da questo fenomeno.
Il web: libertà o arena di linciaggio?
Un tempo si diceva: “La carta stampata è il quarto potere”. Oggi il vero campo di battaglia è il web. Teoricamente, è lo spazio della libertà assoluta, ma nella pratica può trasformarsi in una giungla dove chi esprime un’opinione rischia di essere ridicolizzato, insultato o bannato dalle piattaforme.
Basti pensare al crescente fenomeno delle shadowban, una tecnica utilizzata da alcune piattaforme social per limitare la visibilità di contenuti di un utente senza avvisare lo stesso. Oppure il caso di giornalisti investigativi o attivisti che vengono etichettati come “diffusori di fake news” solo perché sollevano dubbi sulla narrazione ufficiale.
Nel 2023, il World Press Freedom Index (indice della libertà di stampa – ndr.), nelle classifiche annuali, ha segnalato un peggioramento della libertà di stampa in molte democrazie occidentali. In Italia, ad esempio, si registra una crescente pressione sui giornalisti, con intimidazioni legali che mirano a scoraggiare inchieste scomode.
Chiunque abbia provato a scrivere qualcosa di vagamente scomodo sa di cosa parlo. Personalmente, evito di commentare o di esprimere opinioni, perché detesto essere attaccato. Ma non esprimersi equivale a cedere alla censura.
Lo facciamo per quieto vivere, certo, ma è giusto? Possiamo davvero definirci una società libera se l’unico modo per evitarci problemi è tacere?
E ora?
La domanda resta aperta: cosa possiamo fare? Forse niente, forse molto. Ma di certo, rinunciare del tutto alla libertà di espressione significa accettare di vivere in un mondo dove il pensiero critico è solo un’illusione.
Un’illusione ben confezionata, certo, con tanto di Costituzioni e dichiarazioni internazionali. Ma alla fine, se chi controlla l’informazione può stabilire cosa è vero e cosa è falso, allora la libertà di espressione è solo una frase scritta su carta.
Alla prossima, cari lettori.