Essere partiti senza la preventiva conoscenza della distanza del traguardo da tagliare ed avendo come mappa di percorso il senso della provocazione e la capacità dei lettori a mettersi in gioco scrivendo, ci ha condotto (oggi) al succo di una breve riflessione divenuta nostro titolo di testa e che precede, prima della sua definitiva chiusura, la pubblicazione degli ultimi tre contributi (dai nostri lettori) a questa Rubrica. Letterarea, dunque, chiude e lascia in chi ha partecipato (attivamente) il proprio rispettoso ringraziamento. Fare un bilancio di numeri, in questa area dedicata a lettura e lettori, e che del passaparola dei lettori si alimenta (anche se non solo del loro), è cosa ambigua e rischia di ridurre una passione forte, come quella dei libri, a fredda economia. L’amore per i libri dovrebbe coinvolgere sin da piccoli, quasi fosse una particolarissima malattia esantematica, per sua natura benefica e quindi priva di vaccino. Se lasciamo dunque fuori i numeri potrebbe essere il Tempo, tanto di lettura e di contributo scritto dai noi ricevuto, il metro di misura e di bilancio di questa esperienza e Rubrica. Allora, s’è il Tempo la nostra pietra di riferimento potremo dire che l’esperienza di Letterarea è stata breve e avvincente per alcuni, rapida e scontata per altri. Questi ultimi, spesso (ma attenzione era un loro legittimo diritto l’inattività) hanno praticato il cosiddetto “silenzio di contributo”, cioè hanno ridotto la esaltazione del progetto (su cui faceva perno Letterarea) a semplice pacca sulla spalla “perché non ho tempo di mettermi in gioco scrivendo e per mandare un contributo di lettura ai lettori” oppure (e per non voler dispiacere e dispiacersi) “so di essere in difetto, ma scriverò qualcosa prima o poi e meno male che c’è già chi partecipa e spedisce al vostro indirizzo”. Coraggiosi i primi lettori a scrivere, più impegnati (nel loro Tempo) gli altri a non scrivere? Parsimoniosi i secondi e spreconi i primi? Speranzosi e peccatori (allo stesso tempo) il terzo tipo di lettori? Chissà! tutte domande a cui troverete le vostre risposte nel tempo. Ad ogni modo, nulla rimane infinito a questo mondo, tutto è imperfetto e in costante mutazione, dal contributo fattivo, alla pacca sulla spalla, come nel leggere. Detto in semplici parole (e per concludere): questo non è un addio, ma un semplice arrivederci su altri Libri.
Com’è stata consuetudine, adesso, passo la parola fra i lettori. Direttamente dagli estremi opposti della nostra Penisola, le suggestioni di lettura (e questa volta, dato che è l’ultima, sono tre), dalla penna di Alessandro Puma e Vito Giuliana; tutte e due lettori (con tempo in avanzo) proprio come voi (che andrete a leggerli). Rispettivamente nell’ordine, dunque: “Glamorama” di Bret Easton Ellis (Einaudi, 2006 ET – pagg,735 – € 16,00), “La doppia vita di M. Laurent” Santo Piazzese (Sellerio, 1998 – pagg.330 – € 11,00) e, un’intramontabile classico, “Siddharta” di Hermann Hesse (Adelphi, 1985 Piccola Biblioteca – pagg.204 – € 12,00). Buone letture.
Il mio ‘Glamorama’ di Ellis di Alessandro Puma (Bergamo)
Tra tutti i romanzi visionari che ho letto, “Glamorama” di Bret Easton Ellis é sicuramente il più delirante. E questo non per via della trama, in sé, ma per certi espedienti che ne costituiscono la parte principale e che lo scrittore americano non pensa minimamente a spiegare o a delucidare. Rifacendosi esplicitamente all’impossibilità di distinguere ciò che é reale da ciò che non lo é (riprendendo la lezione di autori come Borges e Philip Dick, nonché l’ormai classico tormentone di tutta la letteratura postmoderna) Ellis descrive le vicissitudini amorose di un modello newyorchese “semi-famoso” di nome Victor Ward, estremamente bello ed estremamente vacuo. Tra una sfilata di moda e una serata di gala, Victor, già fidanzato con una bellissima e famosissima modella-barra-attrice, si va ad impelagare in situazioni al limite del surreale scegliendo come sue amanti altre modelle/attrici, fidanzate con amici della sua ragazza, o vecchie fiamme del tempo dell’università. Ma la trama, inizialmente farsesca e al limite della sit-com, comincia progressivamente a diventare ‘nera’ e addirittura inquietante quando, nel disinteresse incosciente del protagonista e nella imperversante preoccupazione del lettore, qualcuno comincia a pedinare Victor, a mandargli strani messaggi (del tipo ‘so chi sei e cosa stai facendo‘) e a fischiettare un motivetto ossessivo alle sue spalle (la canzone The sunny side of the street), salvo poi scomparire, una volta che Victor si gira a guardare, lasciando sul posto una manciata di coriandoli carnascialeschi e luciferini. Ma la parte sicuramente più folle é rappresentata dal fatto che, a un certo punto, una troupe cinematografica comincia a seguire e a filmare Victor, come se fosse un attore famoso, nella sua pazza vacanza in Europa dove trova lo stesso vortice di serate mondane, patinate e drogate, e dove viene in contatto con un gruppo di modelli/terroristi che cominciano a piazzare bombe a Londra e a Parigi per motivi non meglio definiti ma probabilmente riconducibili a rivendicazioni islamiche. Victor, adesso, é terrorizzato ma, anche in questo caso, non si riesce a capire quanto la sua situazione disperata sia autentica o quanto corrisponda a finzione, dato che continua a essere seguito dell’assurda troupe cinematografica e a seguire un copione con le battute che, tanto lui quanto gli assassini, dovranno recitare. Oltretutto, molte delle celebrità che conosce alle feste (da Jason Priestley a Christian Bale) lo informano di averlo visto sfilare per Dolce e Gabbana a New York soltanto la sera prima mentre lui si trova invece a Parigi da più di due settimane e capisce, così, che qualcuno lo sta ‘impersonando’. Non mancano neanche le scene di mutilazioni e torture per le quali Ellis, da figlio scomodo dell’era Reaganiana degli anni ’80, é diventato famoso dai tempi di “American Psicho”.
Un romanzo tutto palermitano “La doppia vita di M. Laurent” di Vito Giuliano (Palermo)
Dubbi, colpi di scena e Palermo. Questi gli ingredienti principali del libro scritto dal biologo palermitano Santo Piazzese dal titolo “La doppia vita di M. Laurent” edito da Sellerio nel 2008, già pubblicato dall’autore nel 1998. Dopo la pubblicazione di “I delitti di Via Medina – Sidonia” nel 96′, lo scrittore decise di scrivere un nuovissimo romanzo giallo ambientato a Palermo. Il libro narra vicende d’investigazione di Lorenzo la Marca, biologo e docente universitario ma investigatore per passione. Il protagonista s’imbatte nello strano caso dell’omicidio di un uomo, un antiquario dal nome di Umberto Ghini, rinvenuto durante una notte di pioggia trapassato da un colpo di pistola al petto. Durante il laborioso processo intellettuale del biologo per la risoluzione del caso, usufruendo della propria capacità logica, viene affiancato da Michelle Laurent, medico legale, figlia di un indagato del caso “Ghini” avvolto da un grande alone di mistero cui le ombre sono riconducibili ad altre due donne di primo piano presenti nel romanzo: La moglie della vittima e la sua amante. Storia fitta di mistero con conclusione da opera teatrale, questo libro rappresenta per il lettore la possibilità di seguire le vicende vissute dai personaggi che si susseguono, unite talvolta a una produzione linguistica tipica di certe fette di popolazione palermitana. Casi rappresentativi di questo genere come la variante linguistica di Corso Tukory in “Corso Tucher” o il verbo declinato al passato di piovere in “sdilluviava”, caricano la produzione letteraria di un certo pregio, superando la classica etichetta appioppata di “romanzo giallo”. Particolare e fuori dal comune, il romanzo dovrebbe entrare negli scaffali dei cittadini palermitani per essere letto e riletto. Bello, nient’altro da dire.
Riscoprire se stessi con “Siddharta”, riflessione sull’esistenza di V. Giuliano (Palermo)
Nell’esistenza, un essere umano può decidere se intraprendere una strada o un’altra assumendo consapevolezze prima sconosciute, attraverso la lettura. Tutta quest’attività d’introspezione è racchiusa in un romanzo di Herman Hesse, famoso scrittore tedesco, che ha dato luce a un’opera d’ingegno creativo. Siddhartha, romanzo degli anni 20’, esercita una notevole fascinazione sui giovani lettori ancora oggi, donando spunti di riflessione sull’incertezza della vita. La storia di Siddhartha, personaggio tra i più particolari della storia della letteratura moderna, è inquieta, ricca di colpi di scena e continui cambi di direzione. Il giovane brahmino (ossia appartenente alla casta indiana dei rappresentanti dei sacerdoti) comincia a disegnare la propria storia dall’inizio, per breve tempo, con l’amico d’infanzia Govinda abbandonando il luogo degli affetti più cari per abbracciare una sorta di surrogato dell’eremitismo, poiché si trova continuamente diviso tra corpo e mente, tra spirito e materia. Il personaggio è dipinto dall’autore come un “cercatore dell’anima”, avvolto da uno stato d’incertezza che attraversa tutta quanta la narrazione, spingendo i lettori a porsi tantissime domande esistenziali. Da un giovanissimo Siddhartha adolescente, dedito alla pratica meditativa, si passa a uno ricolmo di smarrimento e continuamente insoddisfatto di tutto ciò che lo circonda. Il personaggio, però, ha il solo scopo di cercare la sua strada. Solo dopo si renderà conto di come nessuno può trovare “una vera strada” perché necessita percorrerla, adattandosi allo scorrere di un tempo che trova fine solo nel trapasso. Ogni giorno tutti quanti siamo dei “siddharta”, perché continuiamo a inseguire il nostro Io per essere perfetti, trascurando ciò che ci circonda. Perché non esiste vera religione o strada che possa condurre alla verità, ma piuttosto che continuare a cercare, dobbiamo percorrere questa strada perchè “significa essere libero, restare aperto, non avere scopo”.