Leggere la posta di un’altra persona è reato, non solo perché viola la privacy ma anche perché la nostra stessa costituzione tutela la segretezza della corrispondenza come uno dei principi cardine del nostro Stato democratico. E se, come ricorda il portale ‘LaLeggePerTutti.it’ la regola vale anche per la posta elettronica (leggere le email altrui integra non solo la violazione della riservatezza altrui ma anche l’accesso abusivo a sistema informatico) lo stesso può dirsi per ogni forma di comunicazione che la tecnologia conosce: sms, messaggi su Facebook, su WhatsApp, su Telegram o altre app di messaggistica.
Per quanto riguarda l’email, non vale a eliminare il reato neanche il fatto che il titolare dell’account di posta elettronica sia rimasto ‘loggato’, consentendo così al partner di entrare nella propria casella senza sforzi e tentativi di carpire la sua password. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’accesso all’email altrui è sempre reato, anche quando il proprietario dell’indirizzo, dopo l’ultima sessione al computer comune di casa, ha lasciato memorizzate nella cache del computer, le credenziali di accesso.
Quanto detto può ben essere esteso a qualsiasi altra app di messaggistica. Per cui, chi legge l’sms o il messaggio su Whatsapp sul cellulare altrui e, magari, crede con ciò di procurarsi la prova di un illecito sta commettendo lui stesso un reato. Non solo: la prova non potrà neanche essere acquisita nel processo perché, stabilisce il nostro codice di procedura, la prova può entrare in un processo e dimostrare un determinato ‘fatto’ a condizione che essa sia stata acquisita lecitamente. Il giudice, in pratica, in caso contrario non deve tenerne conto.
Esiste tuttavia qualche eccezione. Il tribunale di Torino una volta ha stabilito che, se anche ciò avviene in violazione della privacy altrui, la lettura, la stampa e la produzione in causa di un sms altrui può fondare la prova nella causa di separazione per dimostrare l’infedeltà e la relazione parallela del coniuge. A richiamare la pronuncia del giudice piemontese è ora il Tribunale di Roma che, con una sentenza dello scorso 30 marzo, ha detto che non è reato leggere l’sms del proprio coniuge/convivente se questi ha lasciato il cellulare alla mercé di chiunque, abbandonandolo sul divano o su una scrivania. Quando si convive sotto lo stesso tetto – si legge nella sentenza – si condividono gli stessi spazi e, inevitabilmente, la privacy si attenua.
La sentenza osserva come, laddove non vi sia stata una specifica attenzione nel predisporre idonee attenzioni, “in un simile contesto non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto dei messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare”. La convivenza nella comune casa familiare e il vincolo matrimoniale, con i correlati obblighi di fedeltà, generano dunque uno spazio all’interno del quale – perché si possa parlare di privacy – è necessario mettere in atto, concretamente, una serie di ‘limitazioni’ tecniche che impediscano la libera acquisizione dei dati personali.
Altrimenti nessuna eccezione sulla inutilizzabilità dei documenti acquisiti può esser richiamata e accolta. Dunque, il messaggino trovato sullo smartphone del partner può essere una prova contro di lui per chiedere l’addebito della separazione qualora contenga le prove di un tradimento. L’indirizzo di questi giudici tuttavia non è condiviso da tutti, anzi risulta ancora minoritario. Per non rischiare, meglio non avventurarsi con leggerezza a invadere l’altrui riservatezza perché i rischi sono molti. Con la sorpresa di trovarsi, magari, oltre a una querela, anche all’utilizzabilità, ai fini di prova nel giudizio civile, di documenti acquisiti in violazione di normative di diritto penale.