Un’esposizione che nasce da una vicenda storica, che ha fatto il giro del mondo, e che, con abilità, tecnica e fantasia, diventa un percorso allegorico che riesce a coinvolgere il visitatore dall’inizio alla fine. Potremmo infatti introdurre così “Pyongyang Rhapsody | The Summit of Love”, la mostra di Max Papeschi e Max Ferrigno, curata da Laura Francesca Di Trapani, inaugurta oggi, giovedì 24 gennaio, agli spazi Zac dei Cantieri Culturali della Zisa di Palermo (via Paolo Gili 4). Ha preso quindi corpo e si apre al pubblico questo innovativo progetto dei due artisti, promosso dal Comune di Palermo ed organizzato dalla Fondazione Jobs.
Due personaggi lontani anni luce, sia per percorso di vita che per approccio politico, tanto distanti, ma molto simili, se solo pensiamo al loro smisurato ego, nonchè alle più eccentriche manie di grandezza: sono Kim Joung-un e Donald Trump i protagonisti di questa esposizione allo Zac, che è anche un viaggio storico ed antropologico. Un viaggio che ci invita a riflettere, oltre che sui due personaggi, anche sui principali fatti storici legati ad essi, e che hanno interessato tutto il mondo.
«Con l’assessore Cusumano, che mi aveva proposto lo Zac, avevamo pensato ad un progetto in grande che coinvolgesse Max Papeschi – spiega al GCPress la curatrice della mostra, Laura F. Di Trapani – ed anche diverso, che potesse unire gli artisti Papeschi-Ferrigno, entrambi legati a basi del neo pop italiano, ma che hanno delle caratteristiche molto differenti, in primis tecniche, in quanto Ferrigno è un pittore. Papeschi invece fonda le sue origini nella pubblicità, nel cinema, quindi ha una formazione diversa. Si poteva correre il rischio che da questa unione potesse venirne fuori una mostra poco amalgamata, in realtà così non è stato, anzi, i due artisti sono stati molto bravi nel trovare un punto d’equilibrio proprio nella lettura dello stesso tema, narrandolo con due sfaccettature differenti che, insieme, riescono a creare un’unica storia, che è quella che vogliamo raccontare con queste opere».
Si parte quindi dalle evoluzioni storiche, legate nella fattispecie ad una data: il 12 giugno 2018, ovvero il giorno in cui Trum e Jong-un si sono incontrati, un fatto contraddistinto anche da una prima volta assoluta in cui un presidente americano “stringe la mano ad un dittatore”, per firmare il famoso “accordo di pace”. Ed è proprio questa inverosimile pace, preceduta da una guerra verbale assurda, portata avanti dai due protagonisti, che diventa il filo conduttore dell’esposizione, e quindi di tutti quei vari aspetti allegorici che legano i personaggi di Trump e Jong-un.
«Entrambi gli artisti – prosegue la curatrice – riflettono sui due personaggi e sul loro mondo, ma soprattutto su quella cultura che li unisce, pervenendo ad un punto comune, ovvero al kitsch, al denaro, alla ricchezza, al possedimento, e lo fanno in maniera differente, ma dialogando perfettamente l’uno con l’altro. Lo spazio, tra l’altro, ci ha permesso di ripercorrere questa concezione di ordine preciso, di rigore, e di grandezza. Insomma, si prendono gioco, in maniera diversa, di questi due protagonisti e di questa situazione, e soprattutto della “pace”».
Papeschi racconta quindi questi due personaggi , che vede entrambi “paradossali”, come se uscissero dai cartoni animati, e lo fa quasi fosse un gioco, incentrando l’dea di questa “pace” come fenomeno mediatico. Lo stesso tema lo affronta Ferrigno, anche se in maniera diversa. Differenza che già il visitatore coglie all’inizio del percorso.
Da un lato si trova il gioco dell’Oca di Trump e, come in uno specchio, perfettamente di fronte, c’è invece il Monopoli coreano. Procedendo è tutta un’alternanza tra i lavori dei due artisti che raccontano il “kitsch” dei “potenti” protagonisti, delle loro assurdità, dell’esaltazione del Dio denaro e, prendendoli un po’ in giro, si dà forma a tutto ciò che sa di falso, di artefatto. Trump e Jong-un con Papeschi e Ferrigno diventano anche divinità. Ed ecco come dalle enormi diversità che li caratterizzano riescono a rispecchiarsi l’un l’altro.
«Il progetto – ci spiega Max Ferrigno – è di due anni e mezzo fa, ed io lo iniziai a Milano con “Welcome to Nord Korea”, in collaborazione con Amnesty International, quando ancora la Corea del Nord non era conosciuta e quindi Kim non era popolare perchè al tempo c’era Obama, la cui amministrazione passava in sordina questa sorta di “guerra fredda”. Da qui, volevamo denunciare l’enorme problema di violazione dei diritti umani in Corea. Abbiamo fatto un po’ di date in giro per il mondo, al termine delle quali, con Max, abbiamo pensato di fare un lavoro insieme per portarlo a Palermo in questa location. Dopo cambiarono i presupposti politici, si è spostato il focus, bruciando così il nostro evento. Ed allora, ecco l’idea della parodia di questo “summit” tra i due. Il mio lavoro focalizza infatti l’attenzione a questa “parodia” che rende la propaganda talmente ridicola e fastosa. Un po’ come se si facesse una propaganda per bambini, ecco quindi l’uso degli elementi di cartoni animati e di giochi».
Ferrigno racconta invece la Nord Corea come un cambiamento occidentale, nel senso che, l’Occidente, attraverso la Corea del Sud, più emancipata rispetto quella del Nord, possa occidentalizzare questo spazio geo politico. Poi, si arriva alle immagini in fondo al percorso, rappresentate da due dipinti, dello stesso Ferrigno, che vanno a sostituire i volti, ampiamente visti, dei due leader politici con due pin up, figure tipiche dello stile di Ferrigno legate alla cultura pop giapponese. In queste immagini troviamo quindi due giovanissime donne che ipoteticamente hanno realizzato un golpe, che però conduce ad un “regime pop” ideale. Di Ferrigno sono anche le ricostruzioni delle bandiere che, al posto dei simboli politici, rievocano immagini commerciali in chiave più erotica, come i sex toys.
Escludendo quindi questi due dipinti a chiusura del percorso espositivo, tutti gli altri lavori sono tratti da stampe digitali.
«Con Papeschi – ci racconta Max Ferrigno – ci conosciamo da 10 anni e abbiamo più o meno lo stesso immaginario e “parliamo la stessa lingua”. Quando mi è stato proposto di esporre questo lavoro qui allo Zac, ho subito pensato comunque ad uno spazio totalitario e, sapendo l’idea che avevo in testa ed anche come lavora Max, intuivo già che sarebbe venuto fuori con questo tipo d’impostazione. E proprio questo è l’impatto che volevamo».
La mostra rientra anche nel cartellone di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018 e, come sopra anticipato, è organizzata dalla neonata Fondazione Jobs che sposa progetti d’arte contemporanea nelle sue diverse forme, e che ha sede a Palazzo Castrone di Santa Ninfa, nel cuore del centro storico palermitano.
«Il tema di questa mostra è molto particolare – commenta al GCPress il presidente della Fondazione Jobs, Giuseppe Forello – e la Fondazione sin da subito ha appoggiato l’idea. Essendo loro due artisti pop, hanno un legame forte con quello che è il nostro obiettivo, ovvero far conoscere l’informatica, oggi considerata vintage, viste le continue evoluzioni, e far emergere così la storia di questa rivoluzione che avvenne negli anni ’70, quando la Apple tirò fuori questo micro computer destinato a tutti, e non solo alle grandi aziende. Da allora, tutti possiamo quindi accedere alle informazioni. E l’arte pop è la prima forma d’arte che si avvicina a questa innovazione del computer, e che arriva in maniera più diretta alla gente. Esempio ne è Andy Warhol che utilizzò il suo Amiga, iniziando anche una collaborazione con Amiga stessa, e firmando anche alcuni oggetti da questa messi sul mercato. Popolare diventa quindi il computer, popolare è l’arte pop, che nasce proprio per quello».
La mostra sarà visitabile fino al 24 marzo 2019 nei seguenti orari: martedì – domenica, dalle 9,30 – 18,30.
Ingresso libero.