Settembre, tempo di libri, quaderni, penne e di patemi per milioni di alunni. Poi con il passar dei mesi le cose si normalizzano: i ragazzi imparano i ritmi delle lezioni e dei compiti, e tutto dovrebbe andare per il verso giusto; a volte però non è sempre così, perché possono nascere delle difficoltà nella comprensione e nell’acquisizione dei concetti base.
Una lenta e faticosa lettura correlata da errori, la difficoltà a leggere ad alta voce, la scarsa concentrazione, le omissioni o inversioni di lettere di simile grafia (m-n, b-d); questi sono i sintomi evidenti da chi è affetto da dislessia, ovvero da un disturbo specifico di apprendimento.
La dislessia viene generalmente diagnosticata intorno ai sette anni, quando il bambino termina la seconda elementare e dovrebbe aver superato i normali problemi di apprendimento della lettura. Infatti normalmente un bambino impara in fretta come associare le lettere ad un suono corrispondente, basta guardare le parole e il procedimento della lettura è automatico. Per un dislessico, invece non è così, è come se vedesse sempre una parola per la prima volta.
I dislessici sono persone sane, che non hanno deficit sensoriali di udito e di vista e che non hanno alcun disturbo neurologico o psichico, inoltre il loro quoziente d’intelligenza è nella norma o addirittura superiore. Anzi, è proprio questo uno degli elementi diagnostici per stabilire che si tratta di dislessia.
La scuola svolge un ruolo molto importante e la legge 170/2010, emanata dal Miur, prevede che essa applichi misure compensanti e dispensative per gli alunni dislessici, come, ad esempio, un buon insegnante, una sintesi vocale che trasforma in audio il testo digitale, un registratore, dei programmi di videoscrittura con correttore ortografico. Misure del genere sono anche quelle che esonerano dalla lettura in classe ad alta voce e aiutano il ragazzo nello studio in modo tale da ottenere dei risultati soddisfacenti e sentirsi gratificato per l’obiettivo raggiunto.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la dislessia e gli altri disturbi specifici di apprendimento come disabilità, per cui non è possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento. Un dislessico non “guarisce” (in quanto non affetto da una malattia), ma sicuramente migliora grazie alla collaborazione della famiglia, della scuola e degli operatori sanitari, e a volte riesce a superare quasi interamente lo svantaggio che gli procura questa sua disabilità.
Giornale Cittadino Press, per rendere più chiaro l’argomento trattato, ha chiesto alla Dott.ssa Maria Calogera Zito, laureata in psicologia clinica e docente di scuola primaria cosa si potrebbe fare per aiutare un bambino dislessico. Ci dice: “Il disturbo prima viene identificato più sarà facile curarlo in modo definitivo. Richiede un impegno costante da parte dei genitori e del corpo docenti. È importante valorizzare il bambino, rinforzando tutti i suoi progressi, senza paragonarlo agli altri, cosicché trovi fiducia in se stesso. Per curare la dislessia è necessario un vero e proprio lavoro di squadra tra la scuola, lo psicologo e la famiglia. Il percorso di cura deve aver inizio con alcuni test per perfezionare la diagnosi e segnalare eventuali disturbi uditivi, neurologici, visivi o familiari. Poi bisogna che il bambino venga seguito da un ortofonista per la rieducazione e, a volte, anche da uno psicoterapeuta. Cerchiamo di ‘attenzionare’ il disturbo e non sottovalutarlo”.
Ci auguriamo che questo disturbo sia studiato e seguito ancora di più dalla società e da chi conosce e può dare un aiuto concreto a chi ne è affetto. “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”. Albert Einstein