Palermo – E’ una scelta di vita esistenziale e radicale quella fatta da un uomo che, abbandonata la quotidianità e la normalità della vita di ogni giorno, oggi si fa chiamare Isravele storpiando in tal modo il nome del ben noto stato ebraico e che ha deciso di vivere da solo in luogo quanto meno singolare: il Semaforo del Monte Gallo posto in cima all’omonima collina che si erge sopra Partanna Mondello.
Il cronista si è accollato una irta e lunga salita a piedi per poterlo incontrare, una salita che partendo dal livello del mare, porta fin sopra il monte da dove si gode, peraltro, un panorama mozzafiato. Quando arriviamo non ci accoglie nessun segno di vita, ma la presenza di Isravele si manifesta già lungo la strada costellata dalle sue opere artistiche frutto del suo ingegno e della sua originalità e soprattutto dalla facciata del Semaforo di Monte Gallo che è abbellito da una serie di mosaici.
Ci addentriamo sin dentro la recinzione facendoci notare il più possibile e dopo vari giri finalmente lo vediamo seduto nella sua comoda poltrona ad ascoltare musica e a leggere. Ci accoglie con un assenso del capo e notando la sua estrema tranquillità gli poniamo la prima domanda riguardo la possibilità di provare paura. In fin dei conti è solo con se stesso da 18 anni. Ci risponde che la sua guida è Dio e quindi ha molta fiducia e non ha nessun timore e che riguardo i visitatori non prova paura quando le sue sensazioni sono positive e quindi non alza la guardia. Al contrario se sente sensazioni negative fondamentalmente si affida al suo credo divino.
Ci tranquilliziamo anche noi e proviamo a conquistare la fiducia di Isravele. Ci racconta che già da giovane sentiva il desiderio di rispondere alla chiamata di Dio e di ritirarsi in vita ascetica e spirituale.
Sfruttando le sue conoscenze nel campo edile, dato che da giovane faceva il muratore, ha effettivamente e concretamente migliorato il posto preservandolo dalla catastrofe dovuto all’incuria ed alla mancanza di manutenzione. Ricordiamo che il Semaforo di Monte Gallo, nasce nel secolo scorso come osservatorio aereo navale e che successivamente, durante le guerre mondiali, fu usato come deposito di munizioni e punto di controllo privilegiato e strategico.
Decidiamo con il consenso di Isravele di entrare all’interno dell’edificio. Lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è notevole. Tutte le pareti, ogni angolo nascosto è stato riempito di mosaici, dipinti, statuette insomma un’arte povera fuori dagli schemi canonici dell’arte ufficiale e riconosciuta che lascia piacevolmente sorpresi.
Isravele ci racconta che soprattutto d’inverno scende giù a valle per approvvigionarsi di cibo e acqua, ma anche del materiale che gli necessita per continuare la sua opera di abbellimento, che ogni tanto riceve visite da turisti e amanti della montagna, ma anche da parte di qualche amico che porta del cibo che poi viene cucinato e mangiato in compagnia.
L’arte povera del nostro amico eremita si rifà al simbolismo della religione Cristiano Cattolica ed anche a quella Ebraica, ma trovano spazio anche riferimenti che non hanno una storia e tradizione vera e propria ma che sono frutto semplicemente della fantasia di Isravele.
Durante la nostra breve conversazione sentiamo soltanto il fruscio del vento tra gli alberi e volgendo lo sguardo verso il mare ci accorgiamo che in un bellissimo gioco di luci e colori esso si fonde con il cielo. Soltanto il rombo degli aerei che si apprestano ad atterrare a Punta Raisi rompe il silenzio della montagna.
Decidiamo di salutare Isravele, anche per non interrompere il carattere solitario della sua esistenza. Cominciando la discesa notiamo laggiù verso valle il territorio fortemente antropoformizzato che stride fortemente con il carattere selvaggio di questo luogo bellissimo.