Nasce per iniziativa della corporazione chiamata Unione dei Musici nel 1692, dopo che questi avevano acquistato una struttura nella zona che era detta della Fiera Vecchia, oggi piazza Rivoluzione, e che trasformano in teatro, il primo teatro in Sicilia ad avere la classica forma a ferro di cavallo, conosciuta con il nome di teatro all’italiana.
È il 28 ottobre 1693 quando viene inscenata la prima opera, L’Innocenza Penitente del poeta palermitano Vincenzo Giattini musicata da Ignazio Pulicò, dedicata a S. Rosalia, e da allora viene destinato prevalentemente alle opere musicali.
L’edificio non ha avuto “vita” tranquilla, ritoccato e abbellito più volte, in risposta alle richieste di nobili e borghesi di avere un teatro che fosse al passo con i teatri più famosi d’Europa. Danneggiato dal terremoto del 1724, si ristruttura una prima volta ed riapre negli anni Trenta. Un secondo intervento viene effettuato negli Ottanta, con riapertura nel 1787.
Interessante la modifica fatta nel 1813, realizzata dal membro dell’Unione Giuseppe Ponti, con la quale il palcoscenico poteva abbassarsi al livello della platea per permettere la trasformazione del teatro in sala da ballo con altresì l’aggiunta di diciotto palchi ai sessantasette normalmente utilizzati. Diventa quindi famoso per le feste e soprattutto per le feste in maschera del Carnevale.
L’ingresso del teatro era servito da una scala a due rampe di marmo rosso, originariamente esterna, che viene coperta negli anni Cinquanta per un nuovo intervento di riforma dell’edificio. Internamente è l’architetto Carlo Giachery a ridisegnare il foyer, il boccascena e i quattro ordini dei palchi. Sul soffitto i pittori Giuseppe Costa e Giuseppe Bagnasco inseriscono un affresco raffigurante Apollo tra le figure della Tragedia e della Commedia. Una parte della copertura viene realizzata parzialmente trasparente, anticipando le scelte di Giuseppe Damiani Almeyda per il Politeama.
All’esterno, si realizza quella che è la facciata attualmente visibile su progetto di Giuseppe Di Bartolo Morselli e Michele Patricolo, con tre aperture centrali e paraste di ordine dorico al livello inferiore, e corinzio su quello superiore. Sull’attico era presente una composizione in stucco rappresentante l’incoronazione della musa Euterpe, dea della musica, realizzata da Filippo Quattrocchi, oggi sostituita da una versione bidimensionale.
Nel 1865 viene adattato a cafè chantant, dieci anni dopo a museo delle cere. Negli anni Ottanta, però, il maggiore successo degli altri teatri della città portano alla chiusura definitiva del Santa Cecilia. L’edificio viene messo all’asta e trasformato in magazzino nel 1919, gli interni smantellati e svenduti. Si utilizza come deposito quasi fino alla fine del Novecento.
All’inizio del ventunesimo secolo si avvia il restauro della struttura e nel 2006 il teatro è affidato alla Fondazione The Brass Group, che attualmente lo gestisce e vi organizza le proprie stagioni concertistiche.