Il progetto artistico particolarmente complesso e strutturato di Daniela Papadia, intitolato “Il Filo dell’Alleanza”, è stato esposto e presentato eri pomeriggio nella Sala Kounellis di Palazzo Riso, a Palermo.
L’opera, realizzata con la collaborazione scientifica di Riccardo Cassiani Ingoni e voluta fortemente sia dalla stessa artista che dalla presidentessa di WISH – BIAS, Chiara Modìca Donà dalle Rose, è stata inaugurata alla presenza, tra gli altri, dello stesso presidente Wish-Bias, del Console Generale d’Italia, Giuseppe Pastorelli, e dell’assessore alla Cultura della città di Palermo, Andrea Cusumano che ha affermato: «Questo lavoro è molto bello e ci racconta un ideale unico di bellezza e trasforma un dato genetico, oggettivo, in qualcosa di più profondo attraverso la cultura della pace».
“Il Filo dell’Alleanza” è un progetto del programma “Italia, Culture, Mediterraneo” realizzato con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nell’ambito della Presidenza Osce, e fa seguito al progetto pilota intitolato “La Tavola dell’Allenza”.
Un’opera collettiva che ha coinvolto un gruppo di donne residenti tra Israele e Palestina, per promuovere integrazione e convivenza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente attraverso l’arte e la tecnica del ricamo.
«L’opera di Daniela è bella e significativa – ha affermato il console Giuseppe Pastorelli– e racchiude l’intenzione di fare comunicare tra loro, attraverso l’arte antica del ricamo, culture altrettanto antiche che hanno perso la consapevolezza di provenire da uno stesso territorio e che, attraverso il dialogo, la comprensione e l’ascolto, possono ritrovare la stabilità».
«Realizzare questo progetto non è stato semplice – ha spiegato l’artista Daniela Papadia -, ma ci siamo riusciti, anche grazie all’aiuto delle istituzioni. Immaginare una realtà diversa da quella che il mondo vive è un’utopia, però ho sempre pensato che se una cosa la puoi immaginare, la puoi fare. L’ho realizzata partendo dalle donne, perché sono siciliana, perché nel nostro DNA sono stratificate tante etnie, e perché mi sono resa conto che, se non fossi nata in questa terra, non avrei mai potuto pensare ad un progetto del genere».
Il ricamo viene qui visto ed interpretato, in chiave del tutto innovativa, come messaggio di pace ed inteso come forma di “riparazione” degli strappi metaforici che avvengono tra persone di culture e religioni diverse: un tentativo artistico fortemente partecipato capace di condurre ad una riflessione sui principi di uguaglianza e di fraternità fra tutti i popoli, indipendentemente dalla loro religione e origine.
L’opera è composta da sei arazzi di 123 x 260 centimetri, assemblati con un filo d’oro che rappresenta il Mediterraneo e la sua realizzazione ha coinvolto sei gruppi di donne, del movimento Women Wage Peace, appartenenti ad etnie e religioni diverse (palestinesi, israeliane, beduine e druse) e della scuola di moda a Rehovot di Letizia Della Rocca, che insieme hanno incontrato la ricamatrice Michal Avvisar divenuta la coordinatrice delle esecutrici.
Ognuna di loro ha realizzato un singolo arazzo tra Israele e Palestina, luoghi per la Papadia ideali per ricucire gli strappi aperti dall’interruzione del dialogo e dei conflitti e per riavviare un processo di alleanza e convivenza. Poiché le ricamatrici coinvolte provenivano da zone in conflitto tra loro, per questioni di natura culturale e politica, non è stato possibile unirle tutte in un unico luogo perché questo avrebbe comportato rischi diplomatici e, addirittura, di incolumità, sia per le persone coinvolte che per l’artista stessa.
Nonostante queste evidenti criticità, il desiderio di conoscersi e lavorare insieme, e di porre fine, anche se solo simbolicamente, alle differenze culturali e politiche, ha prevalso e vinto grazie all’arte. Al termine del lavoro, il gruppo di donne si è infine incontrato a Gerusalemme dove ha riunito i sei lavori in un’unica opera collettiva, un grande arazzo di 240 x 520 centimetri di lunghezza, che rappresenta la mappa del Mediterraneo attraverso la rappresentazione del genoma umano, che integra e definisce l’unicità e la somiglianza di ogni individuo, raffigurando i 12 geni che garantiscono la funzione del sangue, individuati dal neurofisiologo Riccardo Cassiani Ingoni.
Il sangue è, infatti, il fluido corporeo che dà la vita e che da sempre rappresenta nella storia i valori di coraggio, le alleanze, le rotture, l’appartenenza ad un popolo o ad una famiglia. Di recente, è stato anche stabilito scientificamente, che non esistono “razze”, se non quella umana, e che per il 99,9% siamo tutti simili tra noi. L’intero progetto è stato raccontato dal regista Francesco Miccichè in un documentario, prodotto dall’Istituto Luce e da Reporter, il cui trailer è stato proiettato e spiegato durante la presentazione.