Ho avuto modo, probabilmente come tanti, di poter gustare al cinema “Green Book”, diretto da Peter Farelly. Un film che guarda all’America anni ’60 del secolo scorso e che parla al mondo d’oggi e a questo millennio.
Razzismo, segregazione, dignità negata, diversità, ma anche, e in opposto, amicizia, famiglia, tenacia, coraggio e insegnamento reciproco sono tutti temi legati al film e agli uomini di sempre.
Lo spettatore ne prende parte viaggiando, ridendo, riflettendo per buon parte della pellicola, su una Cadillac nuova, color carta da zucchero, modello Sedan DeVille del ’62.
Gli ex-confederati di era kennedyana sono così visti da vicino e si svelano spietatamente ipocriti, anche di fronte al talento di un virtuoso pianista di colore che s’accompagna per un tour nel profondo sud statunitense con un autista italo-americano ed ex-buttafuori di night-clubs.
Non bastano, infatti, le doti di un uomo nero a cambiare il cuore degli uomini, ma è necessario il coraggio. E Il nero, come pure l’italo-americano Tony, cioè i due personaggi della finzione scenica, ne hanno da vendere di coraggio, anche se ognuno a suo modo.
Tony, che nel giro degli amici è conosciuto anche come Tony Lip ‘per le stronzate sparate’, viene interpretato da un bravissimo, quanto sacrificato a premi, Viggo Mortensen.
Il virtuoso afroamericano, invece, che al contrario ha un ruolo da non protagonista nel film viene interpretato da Mahershala Alisu, che veste i panni del famoso pianista Don Shirley.
Il loro tour non facile svela un percorso di formazione step by step per i due. In quelle otto settimane macinate in miglia, spettacoli, soireè d’honneur e squallidi Motel da guida ‘Green Book’ per Don, che trasformano un rapporto di lavoro in una lunga amicizia destinata a durare e di cui nel finale se ne vede solo la punta.
Perché la storia trasposta al cinema non è affatto veritiera, ma vera. In quanto narra di quei primi momenti che daranno poi origine alla lunga amicizia tra Frank Anthony Vallelonga e Donald Walbridge Shirley e che si protarrà per quasi cinquant’anni, cioè fino alla morte dei due, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, nel 2013.
Doppiando i premi conseguiti ai Golden Globe, anche la lunga notte degli Oscar 2019 ha riservato a “Green Book” cinque candidature, di cui tre statuette per il miglior film, il miglior attore non protagonista (Mahershala Alisu) e la miglior sceneggiatura originale (Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly).
“Green Book”, pertanto, e se non sarete fra i tanti probabili del nostro inizio, è un film necessario, consigliato a tutti, da vedere insomma.
Per le sue qualità d’allontanamento del virus di riluttanza dell’altro; per poter fiaccare i nuovi e subdoli apartheid delle nostre retrovie di confine e per quell’aspettativa di ripetere in due ore, anche se in una briciola di pubblico, il miracolo delle otto settimane appena viste.
Tenendo a distanza tutte le paure. Per abbattere i muri come i fili spinati. Per calmare quei mari dove la misericordia latita.