Tra meno di un mese compirò il quarto anta, ovvero settanta anni. Mi chiedo è un traguardo? È un punto di ripartenza? O è qualcos’altro?
E chi lo può dire, tutto dipende da sé stessi, dal proprio vissuto e da quello che si vuol ancora vivere. Certo potrebbe essere un traguardo, non il primo però. Il primo è stato quello di aver raggiunto l’età della pensione, questo sì che è stato un bel traguardo, anche se per colpa di certi politici è arrivato troppo tardi. Un traguardo importante che ha permesso di essere finalmente un uomo libero.
Libero? Vi chiederete! Sì, libero dai lacci e lacciuoli legati al mondo lavorativo. Non dovere vedere, sopportare e frequentare più certi personaggi che ci hanno imposto il loro modo di vivere il rapporto lavorativo. Quanti bocconi amari, quanti patimenti, quante ingiustizie abbiamo dovuto sopportare. Ma questo era il passato, ora pensiamo al futuro da uomo libero. Certo è vero, devo ringraziare il buon Dio che mi ha permesso di trovare un posto pubblico e di vivere una vita dignitosa e serena, senza scossoni e senza eccessi. Tanti altri questa opportunità non l’hanno, purtroppo, potuto avuta ed è a questi che dobbiamo guardare e non a chi invece vive di eccessi.
Dal giorno dopo il compimento dei 67 anni, mi sono sentito libero. Libero come una libellula, come un passerotto, come … Libero di fare quello che mi piace senza dover rendere conto a nessuno, senza intralci, senza imposizioni. Chissà cosa ne pensa mia moglie del fatto di non rendere conto, non credo sia d’accordo.
Vediamo come definisce il vocabolario Treccani “libero”:
1 – Che non è soggetto al dominio o all’autorità altrui, che ha facoltà di agire a suo arbitrio, senza subire una coazione esterna che ne limiti, materialmente e moralmente, la volontà e i movimenti.
2 – Che è padrone dei propri atti e sentimenti, che ha piena facoltà di fare o non fare una cosa.
Altra definizione trovata sul web, che mi sembra ampiamente condivisibile:
Una persona è libera quando può: agire, pensare e decidere senza costrizioni esterne, rispettando i diritti e la libertà altrui. Una frase sulla libertà di Martin Luther King, recita infatti così: “La libertà di ogni individuo finisce dove inizia la libertà dell’altro”.
Insomma per farla breve, il giorno dopo il mio 67esimo compleanno mi sentivo un’altra persona. Finalmente, “avrò”, mi dicevo, “tutto il tempo da dedicare a me stesso, ai miei cari e soprattutto ai miei tanti hobby. Ed ancora sopra di tutto dedicare il mio tempo ad annacarmi e godermi i miei nipoti, gioia immensa del nonno“.
Riflettendo più approfonditamente, questa età della libertà, come accennavo precedentemente è arrivata tardi. Perché adesso abbiamo un malanno al giorno, oggi mi fa male qua, domani mi fa male là. Dopodomani ancora mi fa male in un altro posto. Troppi acciacchi, i nostri movimenti risultano ingrippati, la nostra memoria non è più quella di un tempo, bisognerebbe a tal proposito resettare tutto, agire sulla memoria e compattare tutte le precedenti informazioni accumulate, liberare un po’ la memoria per fare spazio a nuove esperienze a nuove sensazioni.
Peccato che non siamo un computer. Gli scienziati, non si sono ancora dedicati a risolvere questo problema. Alle lobby risolvere questi tipi di problemi non interessa, a loro interessa che il cosiddetto anziano, per me questo termine è dispregiativo meglio definirlo «diversamente giovane» (da ora lo indicherò con DG), ne convenite? Come dicevo alle lobby interessa che il diversamente giovane, sia un oggetto utile a rimpinguare le loro tasche. È un soggetto da spremere visto che con l‘età i malanni aumentano ed il DG tra visite, ricoveri e soprattutto medicine prescritte a “tignitè”, ovvero a iosa, è un pozzo senza fondo. Una speculazione bella e buona ai danni delle persone più fragili e indifese.
Lo stato cosa fa per garantire una vita migliore alla categoria dei DG? Nulla o quasi, le strutture pubbliche che dovrebbero garantire la loro salute, come sappiamo non funzionano, il povero DG è costretto a rivolgersi alle strutture private per avere quello che per legge dovrebbe toccargli gratuito o quasi e quindi a sperperare il suo denaro che potrebbe invece investire, che so ad esempio in viaggi, etc. Già che le pensioni sono quello che sono, molte sotto la soglia del buon vivere civile, il DG si vede costretto a dover rinunciare a curarsi, oppure a privarsi addirittura del cibo. È tutta un’ingiustizia, una vergogna e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, quella che dovrebbe essere per ciascuno di noi la terza età da vivere felici, diventa per molti un grosso ostacolo, invece che essere la seconda gioventù, diventa un percorso tortuoso e difficile da affrontare.
Ci vuole più rispetto per le persone che hanno già dato il loro contributo alla società. Rispetto che purtroppo debbo ammettere a denti stretti che, non c’è neanche la ben che minima traccia. Praticamente siamo un peso.
Forse sarebbe meglio fare come facevano in Giappone sino a qualche secolo fa, praticata descritta nei racconti di Shichiro Fukasawa e immortalata ne “la Canzone di Narayama”, il capolavoro di Shoei Imamura, Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1983. Un film struggente che descrive nei minimi particolari, e con l’intensità emotiva che solo i grandi registi riescono a suscitare, l’usanza dell’ubasute, letteralmente “abbandonare un anziano” in modo da lasciarlo morire morire di fame. Una bocca in meno da sfamare, si diceva. «Ma almeno all’epoca gli anziani venivano accompagnati dai figli o dai nipoti – spiega lo scrittore Masahiko Shimada, autore molto sensibile alle tematiche sociali – l’evento era preparato per tempo da tutta la famiglia e condiviso dall’intero villaggio.
Ma stiamo scherzando? Era una pratica immorale. Bisogna avere rispetto per chi ci ha dato la vita e ha contribuito, anche se in piccolo, a portare avanti il proprio paese.
A tal proposito mi sovviene il seguente ritornello “Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa”. Ritornello della canzone omonima che nel 1977 lanciava il grande Domenico Modugno. E già dove lo metto il vecchietto? In famiglia non si usa più. In strutture private, come ad esempio le case famiglia, che in questi ultimi anni si sono moltiplicate a dismisura? Strutture, che, spesso, sono se non dei veri e propri lager, ma qualcosa che ci somigliano un tantinello. Oppure per chi se lo può permettere in una casa di riposo?
Ne esistono tanti tipi adatti per tutte le tasche, ma non tutti se lo possono permettere. E allora che si fa? Si ritorna indietro al concetto esposto in precedenza e cioè, al metodo giapponese? In America esistono dei veri e propri villaggi abitati da persone anziane, molti altri paesi mandano lì i propri vecchietti. Ma è quest’ultima è la cosa migliore? Certo il problema non è di facile soluzione, ma è un problema globale che necessita di maggiore attenzione da parte di chi ci governa. Ma lo faranno mai? Ho i miei dubbi.
Mamma mia che pensieri tristi, forse ho deviato troppo da quello che avevo in mente di scrivere, ma è la triste realtà quella che ho descritto, realtà che mi fa tanto arrabbiare.
Non c’è più rispetto, per la società moderna un DG è un peso. Ma lasciateci vivere nel migliore modo possibile sono gli ultimi anni che passeremo in questa vita. Sul dopo vita, nulla si sa, mai nessuno è tornato indietro per dire cosa ci sta dopo la morte terrena.
“Allegria”, diceva in maniera convinta un grande presentatore del passato Mike Bongiorno, condivido il suo motto in pieno. “Allegria” si ci vuole tanta allegria, ma tanta, tanta.
Diciamo che, a questa età si possono già tirare le somme della vita che è passata. Il più lo abbiamo fatto. Vedere la propria progenie proseguire, ti inorgoglisce. La famiglia cresce e proseguiranno, nel mio caso, i carollini nel mondo, nonno Cosimo e nonno Peppino nonché i trisavoli saranno contenti, il nostro dna proseguirà.
È questo il vero senso della vita, anzi è la vita stessa.
ALLEGRIA