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“Chi semina racconta”, dall’agricoltura sociale alla legalità

Palermo, 29 aprile 2016 – Dieci giovani donne fra i 18 e i 35 anni che, in un bene confiscato alla mafia e intitolato al piccolo Giuseppe di Matteo, ucciso da Cosa Nostra, vengono formate per organizzare e gestire attività di agricoltura sociale che coinvolgano i giovani siciliani in un percorso di legalità e incentivazione all’occupazione. E’ questo l’obiettivo del progetto “Chi semina racconta”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e oggetto di un seminario che si è tenuto questa mattina presso la sede di Libera Palermo di piazza Castelnuovo, a Palermo, dal titolo “Chi Semina Racconta: il punto sul progetto e i prossimi passi”.

Realizzato dalla Cooperativa sociale Placido Rizzotto (capofila), da Libera Palermo, da Orizzonte Donna onlus e dalla Rete delle Fattorie sociali Sicilia, con la collaborazione di alcuni partner esterni (Cnca, l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni del Ministero della Giustizia e l‘associazione Famiglie Persone Down), il progetto, partito lo scorso settembre, ha una durata di 18 mesi e prevede in una prima fase la formazione di giovani donne disoccupate e nella seconda attivtà didattico-educative per 300 minori ospitati in comunità alloggio o autori di reati e giovani affetti da sindrome di Down.

“Si apre la fase più entusiasmante del progetto, quella della restituzione delle competenze apprese dalle operatrici di agricoltura sociale ai più giovani – ha detto il presidente della Cooperativa Rizzotto Francesco Galante – il che avverrà in un bene confiscato al centro di un territorio di enorme valenza storica e simbolica, con la creazione di un’enclave agricola a bassissimo consumo ma dalla grande produttività. Sono in fase di preparazione l’orto didattico e la serra dotata di impianti per la coltivazione idroponica, una tipologia di agricoltura mista ad allevamento sostenibile basata su una combinazione di coltivazione intensiva e allevamento, già sperimentata in varie parti del mondo, e che la Fao ha in particolare sostenuto nella Striscia di Gaza”.

“Libera Palermo si è occupata del tutoraggio di queste ragazze che vivono a San Giuseppe Jato e San Cipirello – ha aggiunto Chiara Cannella, formatrice di Libera Palermo – hanno appreso realtà e situazioni legate ai beni confiscati alla mafia che non conoscevano. Hanno acquisito consapevolezza dell’importanza di riutilizzare i beni confiscati nell’interesse del territorio, di diffondere la cultura della legalità e di guardare all’agricoltura sociale come strumento di inserimento nel mondo lavorativo“. Il seminario ha previsto anche l’intervento di Laura Bargione, rappresentante della Rete delle Fattorie Sociali, e di  Gloria Maria Lamia, una delle dieci ragazze coinvolte nel progetto che ha raccontato il lavoro sin qui svolto. “Il corso di formazione – secondo Claudia Cardillo, formatrice della Rete Fattorie Sicilia – è stato un’occasione per conoscere le potenzialità dell’agricoltura sociale e le varie forme nelle quali può essere attuata nel territorio della Valle dello Jato. Ragionare di inclusione sociale, di servizi per la riabilitazione e delle ‘terapie verdi’ proposte dalla zooantrologia applicata, dei percorsi del benessere con l’aiuto degli animali e delle piante, di turismo sociale e della didattica è stato impegnativo ed entusiasmante”.

Entro la prossima settimana verrà allestita la serra didattica all’interno della quale è prevista anche la coltivazione acquaponica, ossia un sistema integrato fra l’allevamento dei pesci e la coltivazione di vegetali senza l’uso di sostanze chimiche, creando un ecosistema integrato.

“Chi semina racconta” è stato finanziato con circa 219mila euro nell’ambito dell’avviso promosso dal Governo nazionale “Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici”. Il progetto si svolge nel territorio dell’Alto Belice, in provincia di Palermo, in cui la disoccupazione giovanile tocca punte del 70% e quella femminile del 44%, con una forza lavoro dedicata per la maggior parte al terziario e all’industria. L’agricoltura sociale è ormai una pratica consolidata in Sicilia, offre prodotti dai chiari connotati etico-sociali e consente di recuperare antiche tradizioni.

 

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