Si è appena conclusa un’importante campagna di indagine nelle acque di Catania per verificare lo stato di conservazione di due giacimenti archeologici subacquei, già rilevati negli anni passati.
La Soprintendenza del Mare, in collaborazione con il 3° Nucleo Subacqueo della Guardia Costiera di Messina diretto dal comandante Giuseppe Simeone e supportato da mezzi nautici della Capitaneria di Porto di Catania e dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Riposto, ha proceduto ad esplorare mediante ROV – un veicolo filoguidato dalla superficie in grado di immagazzinare immagini – i fondali di Capo Mulini e Ognina per monitorare e controllare il carico di due antichi relitti che si sono inabissati in epoca romana.
L’archeologia subacquea si conferma un segmento particolarmente strategico e importante dell’azione culturale del Governo regionale, sul quale sta operando con crescente impegno – dapprima grazie all’attività di Sebastiano Tusa e negli ultimi mesi con le iniziative dell’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, che ha impresso un’accelerazione alle iniziative della SopMare.
Quanto ai due relitti, il primo – segnalato nel 2009 e completamente rilevato nel 2016 – giace su un fondale di circa 55 metri ed è caratterizzato dalla presenza di centinaia di anfore, di 5 tipologie diverse, che contenevano probabilmente vino e sono databili fra la fine del II secolo a.C. e la metà del I secolo a.C.
Il secondo relitto – che è conosciuto fin dal 1986 e trasportava un carico di tegole rettangolari di grosso modulo (66 x 50 cm) con i bordi ad alette ripiegate e coppi semicircolari – giace, invece, su un fondale di circa 40 metri molto vicino alla costa nei pressi di Ognina. Il relitto non è stato mai studiato in maniera scientifica per cui si è proceduto ad una valutazione dell’area di dispersione e alle condizioni di giacitura del carico, con le stesse modalità attuate per il primo relitto.
ll prezioso patrimonio sommerso lungo le coste della Sicilia è oggetto di attenzione da parte dell’assessore Alberto Samonà che, attraverso la Soprintendenza del Mare, sta cercando di operare la messa a rete e la valorizzazione degli itinerari che si trovano lungo le coste della Sicilia e che potrebbero rendere la nostra Isola una delle mete ambite del turismo subacqueo, oltre che rappresentare motivo di prestigio per il numero considerevole di aree rilevate e censite.
Il patrimonio scoperto – in linea con le direttive Unesco che suggeriscono di non prelevare dal fondale reperti qualora sia possibile la loro fruizione e la salvaguardia del bene stesso sul luogo – viene lasciato per la maggior parte sui fondali marini come testimonianza della consistenza e tipologia dei giacimenti archeologici rinvenuti.
Anche per migliorare la qualità delle indagini e l’attività del SopMare è in programma il potenziamento di un sistema di telerilevamento che favorisca una migliore indagine dei relitti.
A coordinare le operazioni di indagine è stato l’archeologo della Soprintendenza del Mare, Nicolò Bruno, supportato da Teresa Saitta, archeologa esterna e grande conoscitrice dei fondali catanesi che ha già al suo attivo altre collaborazioni con la Soprintendenza del Mare nonché da Alessandro Barcellona, esperto subacqueo locale. A controllare il buon andamento dell’immersione è intervenuto direttamente il comandante del nucleo subacqueo della Guardia Costiera che ha messo a disposizione il ROV per verificare in situ le condizioni dei due relitti.
“Poter operare a quelle profondità con un veicolo munito di telecamera subacquea e monitor – commenta l’archeologo Nicolò Bruno – ci ha consentito di valutare le condizioni del giacimento archeologico e di indirizzare l’operatore ROV su aree particolarmente importanti per una più approfondita comprensione del relitto. Particolarmente preziosa si è rivelata anche in questo caso la collaborazione con il Nucleo Subacqueo della Capitaneria di Porto grazie alla quale – dopo anni dalla scoperta del relitto – è stato possibile verificare che il carico di anfore si mantiene abbastanza integro, come anche tutti gli elementi in piombo delle ancore e la tubazione plumbea relativa alla pompa di sentina lunga ben 4 metri, che sono rimasti nella stessa posizione di giacitura del 2016”.
“La scelta di effettuare una ricognizione sui due relitti è stata dettata anche dalla necessità di acquisire elementi utili a creare itinerari subacquei per un turismo particolare, considerato che nella zona vi sono diving che hanno tutte le caratteristiche per poter operare in profondità. L’attività della SopMare – sostiene la Soprintendente del Mare, Valeria Li Vigni – è costantemente orientata alla ricerca, tutela e manutenzione degli itinerari e dei siti individuati che vengono protetti attraverso ordinanze di interdizione che provvediamo a richiedere alla Capitaneria di Porto. Il primo relitto, anche se posto a notevole profondità, è in condizione di essere visitato senza alcun intervento, poiché il carico anforario è visibile e ben conservato. Il relitto delle tegole, invece, come constatato dalla ricognizione e dalla documentazione prodotta, ha bisogno di una sostanziale pulitura che servirebbe a far emergere le numerose tegole che, anche se coperte da sabbia, appaiono essere impilate. In quest’ultimo caso non ci troviamo davanti a un vero e proprio scavo subacqueo, ma ad un intervento che, oltre a consentire una migliore fruizione, permetterebbe di studiare più approfonditamente il sito ritrovando elementi utili per una più precisa datazione della nave e del suo carico“.