Un viso dolcissimo, enigmatico, quello della nobile signora di borghi e castelli che attraversò leggera la seconda metà del Trecento: alla contessa Eleonora d’Aragona, nipote del re di Sicilia Federico III, moglie di Guglielmo Peralta, signore di Sciacca, Francesco Laurana dedicò il busto oggi conservato a Palazzo Abatellis a Palermo, simile a un altro custodito al Louvre di cui esiste un prezioso calco ottocentesco al Museo archeologico Salinas, sempre a Palermo.
La nobildonna visse, si sposò, governò e morì nel lembo di Sicilia tra Giuliana e Caltabellotta; della sua tomba si persero le tracce, ma il monumento funebre fu eretto nell’amato monastero di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, a pochi chilometri da Contessa Entellina, borgo arbëreshë di 1600 abitanti a 80 km da Palermo. E proprio questo Comune ha deciso di renderle omaggio, commissionando all’urban artist Igor Scalisi Palminteri un grande murale che si ispira al busto del Laurana, ed è parte di un progetto del Comune, “Mecenati di noi stessi.
Il progetto proseguirà con altre realizzazioni artistiche riconducibili ad altri periodi storici, come quello fondamentale dell’insediamento albanese (la colonia fu la prima in Italia, nata nel 1450), che ha connotato profondamente l’identità culturale dei contessioti: l’antica lingua albanese viene ancora parlata e il rito che si officia è quello greco-bizantino.
Ma Contessa Entellina fu protagonista di un’altra storia, dominata da Eleonora d’Aragona (1306-1405), una delle donne più potenti dell’isola. Morì a quasi sessanta anni, età avanzata per l’epoca e mezzo secolo dopo la sua morte, Francesco Laurana scolpì un busto per il suo monumento funebre nella silenziosa e austera abbazia di Santa Maria del Bosco, immerso nella natura: il primo romitorio, fondato nel XIII secolo da dodici frati eremiti nel bosco di Calatamauro, fu elevato ad abbazia nel 1400 da papa Bonifacio IX. Era uno scrigno di tesori: oltre al busto di Eleonora d’Aragona del Laurana, è per l’abbazia che, a fine XV secolo venne realizzata la terracotta della Madonna del Bosco, attribuita a Andrea della Robbia, oggi custodita al Museo diocesano di Monreale; e nel 1582 il monaco olivetano fra’ Olimpio da Giuliana scrisse le “Memorie Antiche del M.ro di S.M.a del Bosco”, che furono riviste da Torquato Tasso (il manoscritto con le postille di suo pugno, è oggi custodito alla Biblioteca nazionale di Napoli).
Nelle scorse settimane nell’immenso refettorio è venuta alla luce sotto l’intonaco, la cornice dell’affresco seicentesco che raffigura la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
A poca distanza dal murale su Eleonora d’Aragona, sarà realizzato un secondo affresco urbano che riproduce lo stemma del Comune: la nera aquila bicipite e coronata, simbolo d’Albania, che tiene tra le zampe un nastro con il nome di Contessa Entellina.
Su questa direttrice, che punta alla valorizzazione del territorio, si installa il progetto del Comune, “Mecenati di noi stessi” che comprende – oltre ai due murales di Igor Scalisi Palminteri – anche una scultura dell’eroe albanese Skanderberg, affidata allo scultore palermitano, di stanza a Londra, Vincenzo Muratore; il restauro e sistemazione di decorazioni nel centro storico e la realizzazione di 28 elementi decorativi dell’artista Carmelo Giallo; infine un percorso tra le icone bizantine realizzate da Vincenzo Bruno, uno degli ultimi artigiani che lavora con la tecnica della tempera all’uovo su legno.
Tradizioni arcaiche, i riti dell’antica Entella, i resti del castello fortificato di Calatamauro da cui proviene il mosaico bizantino conservato al museo archeologico Salinas; ma anche la lingua e la cultura arbëreshë, i presidi enogastronomici dei monti Sicani: tutti tesori di un territorio poco frequentato che potrebbe aprirsi al turista curioso, appassionato, alla ricerca di esperienze ed emozioni.
ELEONORA D’ARAGONA
La “signora” di Caltabellotta, Giuliana, Contessa e Calatamauro era nipote del re di Sicilia Federico III d’Aragona. Nacque intorno al 1346 da Giovanni, duca di Atene e fratello del re, e Cesarina Lancia. Circa a metà del 1360, nel castello di Pietrarossa (nella Contea di Caltanissetta), sposò Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta e Vicario del Regno di Sicilia. Dal loro matrimonio nacquero Nicola, Giovanni, Matteo, Margherita e una figlia di cui si ignora il nome. Eleonora fu molto amata e rispettata. La contessa morì nell’amato castello di Giuliana nel 1405 a quasi 60 anni, lasciando a sorpresa, erede universale il prediletto nipote naturale Raimondetto Peralta. Della sua tomba si persero le tracce, secondo le sue volontà sarebbe dovuta essere sepolta nel castello di Pietrarossa, accanto al marito, ma non se ne hanno notizie. Un’ipotesi suggestiva del 2004 la vuole sepolta nella cripta sotto l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria dell’Itria (la Badia Grande) di Sciacca, dove furono scoperte due tombe che potrebbero essere quella di Eleonora d’Aragona e del figlio Nicola.
IL BUSTO DEL LAURANA
Un volto e una figura perfetti, di una delicatezza estrema, purissima, quasi una carezza rinascimentale: lo scultore di origini dalmate Francesco Laurana realizzò il busto intorno al 1468, probabilmente su commissione di Carlo Luna, ricco possidente e discendente dello sposo di Eleonora, Guglielmo Peralta, signore di Sciacca, conte di Caltabellotta e vicario del regno di Sicilia. Il busto ornava il monumento funebre della nobildonna nel monastero di Santa Maria del Bosco di Calatamauro.
Agli inizi del Novecento, l’archeologo Antonino Salinas, visto l’estremo degrado in cui si trovava il monastero, decise di trasferire il busto al neonato Museo Nazionale a Palermo, e da lì, passò poi all’Abatellis – come spiega Evelina De Castro, direttore della Galleria regionale di Palazzo Abatellis. Francesco Laurana realizzò diverse sculture che rimandano alla figura di Eleonora d’Aragona, o comunque nacquero dalla stessa modella: il più somigliante è un “Busto di principessa” conservato al Museo del Louvre, un secondo è al Museo Jacquemart-André, sempre a Parigi. Il calco ottocentesco conservato al museo Salinas fu invece probabilmente commissionato dallo stesso archeologo e direttore che lo richiese alla Gipsoteca del Louvre, per poterlo accostare al gemello siciliano.