Una finestra sul mondo editoriale, una riflessione sulle dinamiche dietro la scelta di un manoscritto da un punto di vista particolare: quello di un autore rifiutato. Sembra di sentirlo, quel picchiettare concitato, l’ansia dell’incipit, le palpitazioni da pubblicazione. E poi il rifiuto.
Fernando Guglielmo Castanar autore del libro “Il postino di Mozzi”, per Arkadia Editore, ne è anche il protagonista. Un racconto in prima persona, una confidenza che diventa rivelazione destinata alla vittima delle sue “sottrazioni”, il consulente editoriale Giulio Mozzi.
Con un intento sarcastico e una scrittura pungente, Fernando Guglielmo Castanar si costituisce: ammette di essere il portalettere che per trenta lunghi anni si è impegnato, con studiatissimi sotterfugi, a sottrarre dattiloscritti, lettere e mail a Giulio Mozzi che, ignaro, continua a ricevere acide risposte, accuse e vessazioni da autori che avrebbero ricevuto un suo rifiuto o a cui sarebbero state fatte promesse evidentemente non rispettate.
Non soltanto il postino sottrae i sostanziosi plichi che gli autori inviano all’indirizzo di Mozzi, ma anche la sua stessa identità rispondendo alle numerose lettere o prendendosi la briga di commissionare racconti che – ohibò – non saranno mai pubblicati.
Quello che Castanar critica, così sembra, è la ricerca della propria compiutezza come autore che sembra dipendere dal gusto personale di un singolo uomo. E per farlo ha coinvolto 29 autori italiani (reali e conosciuti nel panorama editoriale) di cui ha riportato alcuni frammenti, disomogenei ma legati insieme da quell’unico filo conduttore del romanzo, lo stesso Mozzi.
Motivato da un senso di vendetta verso lo scopritore di talenti che ha rifiutato il suo dattiloscritto, il postino ha pazientato trenta lungi anni e al momento della pensione ha deciso di rivelarsi.
“Il postino di Mozzi” è un progetto letterario con una struttura interessante. Gioca sull’utilizzo del racconto come mezzo della narrazione, ma necessita una lettura complessiva e consequenziale. Ogni racconto è, infatti, accompagnato dal commento del suo sottrattore che tesse le fila di un lavoro antologico interamente sottratto alla buca delle lettere di Mozzi.
Distante dalla freddezza di un comune manuale, il romanzo è una riflessione sulla scrittura (e sulla sua inutilità?), sulla lettura e su quelle figure che muovono i fili dell’editoria. E perché no, a discolpa del Mozzi, il romanzo prende in qualche modo le sue difese e fa emergere la difficoltà del ruolo di un consulente editoriale che deve essere in grado di riconoscere i capolavori sparsi per il mondo e allo stesso tempo riconoscere l’importanza e il rischio di un rifiuto. «Il terrore di Giulio è: ingannarsi, vedere il dono in chi non ce l’ha».