sabato, 21 Dicembre 2024
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Calandra & Calandra: il duo musicale siciliano si racconta al GCPress

I fratelli alcamesi Maurizio e Giuseppe Calandra sono il vanto della musica della Trinacria

Nel panorama musicale siciliano un posto di rilievo occupano i Calandra & Calandra , il duo composto dai fratelli Maurizio e Giuseppe, che calcano i palcoscenici isolani e nazionali sin dagli anni ’90.

A raccontare il percorso che ha portato questi due fratelli a rivisitare in chiave moderna la musica folk e popolare siciliana è Maurizio Calandra, che ha trasformato insieme al fratello una grande passione in realtà.

Come nasce l’idea di questa band, la scelta di scrivere canzoni in dialetto e portare alla ribalta la cultura siciliana?

«Tutto parte da mio fratello Giuseppe – ammette Maurizio Calandra, da noi raggiunto – chr mi ha portato, da piccolo, a vedere l’esibizione di un gruppo folk; così insieme abbiamo conosciuto il repertorio delle canzoni siciliane. All’inizio con un po’ di vergogna, dato che i miei amici ascoltavano i Deep Purple e i Rolling Stones. L’approccio è stato quindi traumatico, poi però entrando dentro il meccanismo, ascoltando le parole, conoscendo la musica, la storia e le tradizioni della nostra Sicilia, io e mio fratello abbiamo pensato di proporre questo mondo, in chiave moderna, anche ai più giovani».

«In Italia – continua Maurizio -, manca proprio questo genere di musica, e con un po’ di timore , poichè si sa, è un genere che non viene trasmesso nelle radio o in televisione, in punta di piedi, abbiamo realizzato un cd con tre brani, ha avuto successo e da quel momento abbiamo iniziato anche noi a crederci un po’ di più. “

In merito a questo, al tipo di musica che proponete, come siete riusciti ad attirare un pubblico, oltre che siciliano, anche nazionale?

«Ancora oggi stiamo lottando per questo. Una metafora che rende bene l’idea è questa: come Don Chisciotte combatteva contro i mulini a vento, noi oggi lottiamo contro le pale eoliche. E’ sempre difficile cantare in siciliano in Sicilia – confida Maurizio – ma noi lo facciamo con amore e passione, sia a partire dai brani che dalle canzoni. La nostra è una musica porta a porta: se riusciamo ad attirare l’attenzione, a far piacere qualche brano della nostra tradizione anche soltanto ad una o due persone, questo è come un seme piantato, da cui può nascere un albero o una pianta che con il tempo potrà dare i suoi frutti».

Dal 6 Febbraio è online su Youtube il vostro nuovo video “Malarazza”. Dove nasce l’idea della canzone e quali sono i temi?

«Malarazza è un brano che è stato cantato negli anni 60′ da Domenico Modugno, che prende spunto da un sonetto di un poeta siciliano anonimo, in seguito pubblicato dal poeta di Acireale Lionardo Vigo. Dario Fo ne ha fatto una versione teatrale, spunto per il brano di Domenico Modugno ed eseguito, in seguito, da tanti altri artisti. Noi ne abbiamo fatto una versione più rock ed è il primo video in cui usciamo allo scoperto. Di solito i nostri video raccontano e fanno vedere le bellezze della nostra terra , ma una volta ci è sembrato giusto mostrarci non soltanto noi, ma anche la nostra band, composta da 2 sino a 18 elementi».

Il vostro stile ricalca qualche grande band del passato? Qual è la vostra fonte di ispirazione?

«La nostra unica fonte di ispirazione è il cuore e la passione. Non ci siamo mai identificati in un genere, che sia il reggae o il pop. Seguiamo le nostre sensazioni, quando un brano riesce a darci emozioni mentre lo scriviamo e componiamo allora è quello giusto. Tant’è vero che il nostro genere è abbastanza vario, non abbiamo seguito un filone ben delineato».

A breve uscirà Tirichitolla, in cui l’argomento principale è la ludopatia. In che modo riuscite a conciliare argomenti seri ad un sound ironico ?

«Noi basiamo tutto su questo: crediamo che, dato il gran numero di problemi che attanagliano la gente, l’unico modo per affrontarli sia sdrammatizzare, di giocare con l’ironia ed anche con l’auto-ironia sugli usi e costumi di noi siciliani. Il tema della ludopatia è delicato, a partire dai giochi d’azzardo ai social, dove oggi molti ragazzi sono attirati. E’ diventata una vera e propria malattia. Chi entra in questo giro non si accorge del male che fa a se stesso e agli altri. E’ un brano carnevalesco che ci è stato chiesto per un carro di Carnevale, è un testo ironico in cui però emerge la solitudine di chi si inabissa in questo mondo, perdendo l’affetto dei cari e della famiglia. Un brano che vuole far riflettere e speriamo possa servire per risvegliare le coscienze di qualcuno».

Che cosa volete dire ai giovani che desiderano percorrere il difficile e tortuoso sentiero della musica?

«In riferimento alla mia esperienza posso dire che per me la musica è una terapia: è riuscita a tenermi lontano dalle droghe, dall’alcool. Qualsiasi problema avessi, mi sono sempre aggrappato alla chitarra, la mia personale valvola di sfogo. Che io sia felice o triste, torno sempre alla mia chitarra. Invito quindi i ragazzi e i genitori soprattutto, a non regalare uno smartphone o qualsiasi altro apparato digitale ma uno strumento musicale. Inoltre – continua Maurizio – consiglio di fare musica originale, qualsiasi essa sia, esorto a non copiare gli altri e a cantare in siciliano, proprio perchè la nostra lingua è la più bella che ci sia».

Quali sono i vostri prossimi progetti?

«Ci tengo a sottolineare il fatto che è stata proprio la musica siciliana, il fatto di aver cominciato a comporre le nostre canzoni e non solo cover, il trampolino di lancio anche per l’estero. Abbiamo fatto 7-8 serate a New York, in Guatemala, in Svizzera, in Belgio e a settembre saremo in Canada.
Molti vedono il bicchiere mezzo vuoto sul fatto che noi cantiamo in siciliano, per noi è mezzo pieno invece – conclude Maurizio Calandra – . Il mondo è pieno di siciliani: è una terra che comunque ha sofferto, ha attraversato momenti difficili. Ovunque si va, si potrà trovare sempre siciliani in grado di apprezzare la musica delle proprie origini e della propria terra. Il messaggio è quello di non vergognarci della nostra lingua, parlare ancora il siciliano è un motivo di vanto».

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