È stata inaugurata mercoledi 20 giugno, nel chiostro del Complesso monumentale di San Domenico di Palermo la personale di Max Serradifalco dal titolo “Earth Flags. Transcending Boundaries”. La mostra rientra tra gli eventi del calendario ufficiale di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, ed è sotto il patrocinio di Assessorato Regionale Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, WISH (World International Sicilian Heritage), di BIAS 2018 (Biennale Internazionale d’Arte Sacra), realizzata in collaborazione con Galleria Adalberto Catanzaro arte contemporanea e sarà fruibile fino al 9 settembre 2018.
Max Serradifalco, artista siciliano, è tra i primi al mondo ad aver realizzato, tramite il web, reportage fotografici con il solo utilizzo delle mappe satellitari, e presenta in questa occasione 15 bandiere (67×100 cm), collage di fotografie satellitari, della serie “All Colors of the World”, iniziata nel 2016.
«Ogni bandiera – dichiara Serradifalco – è composta da sezioni di mappe satellitari di paesaggi appartenenti ad altre nazioni. Immaginando un mondo dove gli uomini siano considerati abitanti della terra, prima di essere cittadini di una nazione».
Queste bandiere, rivisitate e attualizzate all’interno del perimetro di un visionario “RisiKo” geopolitico, assumono pertanto la veste di “mappe di pace”, di «immagini di terre e colori – afferma il priore di San Domenico, padre Sergio Catalano – per vedere altrimenti e uniti differenti territori e differenti nazioni del nostro pianeta».
Ma le bandiere sono anche un manifesto di quei valori sintetizzati nella “Carta di Palermo 2015” lanciata dal sindaco Leoluca Orlando, con l’obiettivo di avviare il processo culturale e politico per l’abolizione del permesso di soggiorno, per la radicale modifica della legge sulla cittadinanza e per il diritto alla mobilità come diritto della persona umana.
La mostra
L’opportunità di esporre in uno spazio tanto carico di storia come il chiostro del complesso monumentale di San Domenico, risalente all’ultimo scorcio del secolo XIII, contrassegnato da sculture, lapidi, altorilievi che evocano il Risorgimento così come i caduti dei due conflitti mondiali (dal chiostro si accede alle sedi della Società di Storia Patria e del Museo del Risorgimento), ha spinto Serradifalco a realizzare delle opere pensate appositamente per questo ambiente, e la cui visione generasse una sorta di “colpo di scena”.
L’artista palermitano, infatti, ha appeso le sue bandiere su dei pannelli lungo ogni lato del chiostro, come degli affreschi dipinti all’interno di una chiesa o di un palazzo antico. Per ogni bandiera la tecnica è quella del collage di mappe satellitari, fatte di inquadrature di particolari e dettagli di altre nazioni.
L’opera diventa così il luogo di un processo mentale e di un’azione manuale in cui l’artista mette a fuoco l’immagine della bandiera, come quella a stelle e strisce degli USA, tra dettagli di paesaggio naturale di Bolivia, Ciad e Mediterraneo. Oppure quella Francia, con porzioni di territorio di Oceania, Kazakistan e Kenya. Mentre la bandiera della Sicilia appare come un patchwork di Arabia Saudita, Libia, Spagna, Egitto e Islanda.
«Serradifalco, come un visionario ma lucido agrimensore 2.0, – dichiara il curatore della mostra, Cesare Biasini Selvaggi – individua, taglia, sovrappone cartografie che vanno a comporre bandiere astratte e figurative al tempo stesso».
«Astratte in quanto fondazione di un campo visivo che poggia sull’autonomia di un linguaggio grafico e cromatico che promana direttamente da un satellite – continua il curatore -; figurative perché quella dell’artista palermitano è un’ars combinatoria densa di assonanze con gli azzardi letterari di Italo Calvino e di Georges Perec che restituiscono immagini immediatamente intellegibili (la nazione a cui si riferisce ogni bandiera è sempre evidente), preludendo, però, a significati ulteriori, a diverse e non omologate chiavi di lettura del presente. Allo spazio reale della geopolitica contemporanea, l’arte continua a opp orre il tempo interno dei propri codici, fatti di distanziamento, d’intervallo e di irriducibile senso dell’utopia».
L’artista al termine della mostra ha poi rivelato, in esclusiva al GCPress: «Il fulcro del mio lavoro sta nel principio del voler essere “cittadino del mondo”. Nella bandiera di Israele, ad esempio – precisa Max Serradifalco – ho unito l’Oceano Pacifico, l’Atlantico e l’Indiano con i paesaggi ghiacciati dell’Antartide e ci ho racchiuso dentro gran parte del mondo. I miei lavori sono collage fotografici fatti con Photoshop, senza alcuna manipolazione, ma solo il ritaglio delle varie foto che vanno a comporre la bandiera».
«Abbiamo scelto insieme al curatore le bandiere relative ai territori più conflittuali per sottolineare che dobbiamo superare quelle barriere – conclude Serradifalco – anche mentali e considerare lo straniero come un abitante della Terra, un fratello, una risorsa e, per la prima volta in assoluto, vogliamo farlo con questo reportage».