Si da il caso che poco più di dodici anni fa, in un mondo immerso in cambiamenti epocali che nei tre precedenti decenni, qui in Sicilia e in Italia, avevano mostrato il volto del coraggio e della verità in donne e uomini comuni, ho conosciuto un poliedrico Giacomo Pilati, che per brevità iniziale definirò giornalista e scrittore. L’occasione di conoscenza venne di lì a poco
approfondita attraverso la lettura di un suo romanzo, edito da Mursia, dal titolo “Minchia di re”. La recensione che ne seguì, non solo venne da me scritta di getto ma fu entusiastica. Essa, infatti, trovava fondo d’ispirazione in un romanzo dotato di moderna antichità: sia nel preservato carattere dell’autore di “cuntatore” o “narrastorie” e sia in quell’evidente espressione di libertà della sua protagonista femminile. Questa figura, che si presta ad essere letta con luce sempre più intensa, e in specie oggi, è in lotta contro tutti i pregiudizi del suo tempo e in una terra in mare non nominata, ma prospiciente la costa di Trapani; città di nascita di Pilati. La terra in mare è l’isola di Favignana, che vista dall’alto, forse non stranamente, ha la forma di farfalla. Questa novità editoriale, pertanto, era degna di attributi per la nascita, per come poi è stato, di un piccolo classico e le successive riletture di altri lavori dello stesso autore, fra cui ricomprendo le sue molteplici iniziative connesse ai mondi della cronaca, dell’impegno sociale, della letteratura e della saggistica, in tempi successivi mi hanno fatto mutare l’iniziale giudizio su Pilati, ora ribaltato a scrittore e giornalista. Il regista Federico Fellini, in merito alla sua arte cinematografica, diceva: “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare”; allo stesso modo, magari con minori pretese, prendo a prestito il concetto e “voglio mostrare” Giacomo Pilati per com’è in realtà, lasciandolo alla curiosità dei lettori e al loro giudizio. Ecco a seguire il risultato della nostra recente conversazione.
Giacomo Pilati, sei stato autore per l’Editore Coppola dè “Le Siciliane. Quindici storie vere.” (1998), “Le altre Siciliane. Dodici storie vere.” (2008) e “Les Sicilienne” (2010). In seguito, ancora, per Legas Publishing di “Sicilian Women, True Stories of Conviction” (2008) e, infine, per i tipi Di Girolamo, cioè nella nuova edizione, dè “Le Siciliane, storie vere” (2014). Cosa ti piace più esplorare e approfondire delle identità siciliane che incontri?
Ci sono identità che rimangono incollate alla memoria. Resistono al trascorrere degli eventi perché esse stesse sono la rappresentazione solida del vissuto, la trasfigurazione della realtà che in un istante diventa sintassi, punteggiatura. Una destrutturazione del sentire comune, un cunicolo spazio temporale in cui ritrovarsi. Un nucleo magnetico inclusivo di emozioni mai sopite, un abbecedario di meraviglie che l’Isola tira fuori dal ventre gravido di stupori. Una attesa rivelatrice di storie intime e clamorose, lo straordinario senso della vita racchiuso nel sentimento minimo di un momento. Un avvolgente vuoto che copre le voci affidando alle passioni il filo di una narrazione sorprendente, unica e vera. Ed è bello perdersi in questo silenzio siderale inseguendo i battiti del cuore.
Che idea ti sei fatta dell’universo femminile siciliano incontrato dagli anni ’90 ad oggi?
Donne, tutte diverse, accomunate però dalla voglia di farcela. Da un carattere di ferro che non le ha fatte indietreggiare di fronte al bello e al brutto che la vita ha offerto loro nel menù quotidiano. Le mie siciliane quello che avevano da spendere lo hanno speso
tutto, non indugiano sui rimpianti. Si lasciano solo andare a un grande desiderio, quello di scavare
dentro gli abissi del loro cuore. Alcune, si mostrano in una dimensione nuova. Come se affidare i loro pensieri a un libro fosse un buon motivo per scorticarsi l’anima più a fondo. Le donne che si raccontano incrociano con le loro vite straordinarie briciole di Storia. E tutte insieme danno l’idea di come possano essere coraggiose, determinate, testarde, incoscienti, combattive e sentimentali le donne siciliane. In ognuna di queste vite c’è un momento di cambiamento e trasformazione, un bivio imboccato per amore o necessità e che non permette più di ritornare indietro. In ogni percorso, dentro questo universo femminile, ho cercato di cogliere il punto cruciale, quello in cui il dolore, la perdita, la sconfitta potevano essere la fine e invece sono state l’inizio di una nuova sfida.
Il tuo primo lancio da scrittore è stato con Salvatore Coppola; un editore indipendente di una piccola città del sud – cioè Trapani, la tua città – non sempre facile da interpretare. Ho anch’io conosciuto e apprezzato, proprio come te, Salvatore e mi piacerebbe condividerne qui un ricordo. Regalaci un tuo aneddoto, tanto dell’uomo e dell’editore, e insieme una riflessione su quel personale modo di fare editoria indipendente rispetto a quella contemporanea, e non solo, nella nostra Sicilia.
Salvatore aveva un concetto etico delle parole, una cosa difficile da spiegare. Cioè le parole sono tali in quanto hanno un peso sociale, restano da qualche parte dentro una porzione di vita. E si collegano fra di loro e così nascono emozioni che si dividono con altri:
passioni, sentimenti, legami. Una ragnatela di parole. Una ragnatela di persone. E dentro c’è di tutto, il cuoco, l’architetto, il tabaccaio, il barbiere, il maestro, l’impiegato, l’oste. Spinte in avanti, appunto. E bastava questa certezza per farlo felice. E al diavolo l’impresa, i soldi, il profitto. Che serviva semmai a moltiplicare i libri. Perché lui voleva campare così con poco, ma essere libero di pubblicare le parole che piacevano a lui. Per farle restare pure dopo, quando restano solo i silenzi. Una cosa che è una bomba pericolosa per chi preferisce non sapere e continuare a dormire. Se fosse vissuto nel medioevo sono sicuro, avrebbe fatto l’amanuense. La Sicilia gli deve molto, ha messo in moto una macchina culturale straordinaria. Ha unito progetti, ha messo su una rivoluzione culturale che, forse, un giorno capiranno anche quelli che oggi non hanno ancora capito.
A partire dal 2000 sei l’anima di un progetto culturale che, con due successivi innesti del 2014, ha disegnato un triangolo tra le provincia di Trapani e Agrigento. Per intenderci, in ordine cronologico, parlo delle rassegne – da inizio a fine estate – di “Libri, Autori e Bouganville”, a San Vito Lo Capo; “L’Altramarea”, a Favignana; “Dialoghi del vino”, a Menfi. Cosa differenzia queste rassegne e cosa le unisce, oltre al territorio e alle storie che vi si raccontano?
Una vetrina di storie, di quelle che la televisione e i giornali non raccontano più perchè manca il senso della condivisione; un valore che la piazza riesce ancora a mantenere rilanciando sguardi e sfumature che danno corpo ai pensieri. Gli incontri con gli autori a san Vito Lo Capo, Favignana e Menfi sono momenti di riflessione e di partecipazione capaci di trasformare un libro in una occasione unica di dialogo e di confronto.
Ogni incontro in pubblico è una storia, un personaggio, un riconoscersi. C’è un emozione particolare che t’è rimasta dentro e vuoi condividere? e chi ne è stato o stata l’origine?
Negli ultimi diciotto anni sono tante le storie che hanno segnato in maniera indelebile gli appuntamenti letterari. L’attore Cesare Bocci (il Mimì Augello nel Commissario Montalbano televisivo), che ha trasformato la malattia della moglie in una storia d’amore appassionata e vincente. L’attore Vincent Schiavelli (che tra i diversi ruoli ha interpretato
il fantasma cinematografico in “Ghost”) e la sua America sognante e romantica. Don Oreste Benzi, un uomo santo, che ha recuperato centinaia di donne dalla miseria e dalla prostituzione. Giampiero Boniperti e la magia dello sport degli anni ‘50. La poesia di Alessandro D’Avenia. L’umiltà di Katia Ricciarelli.
Sei giornalista, oltre che scrittore. Hai un passato televisivo, locale e nazionale, seppur con ruoli diversi legati allo scrivere, e hai curato, dal 2011, adattamenti teatrali dai tuoi libri. Come vedi la scrittura in Italia? e come lo stato di salute della lettura nella nostra Isola?
C’è oggi in Italia una grandissima quantità di libri in circolazione. Un numero smisurato che purtroppo non sempre risponde alla qualità della scrittura. L’editoria fai-da-te, le case editrice a pagamento, hanno inquinato il mercato creando un notevole dislivello fra la buona e la cattiva scrittura. Fino a qualche anno fa era impensabile vedere fra gli scaffali di una libreria, volumi infarciti di errori grammaticali o senza una vera esigenza di scrittura. Gli editori, quelli veri che ancora oggi per fortuna ci sono, hanno uno staff di professionisti che coadiuva l’autore e rende possibile una selezione degli scritti. Il resto, spesso, è improvvisazione e ricerca di facile guadagno, dove a farne le spese, oltre all’autore, sono i lettori.
Ritorniamo nuovamente indietro nel tempo, Giacomo. Ci siamo conosciuti nel 2005 con “Minchia di re”, il tuo romanzo – edito da Mursia – divenuto, nel 2009, un soggetto cinematografico per la regia di Donatella Maiorca con il titolo di “Viola di Mare”. Nel 2015 la Ripol Classici edizioni di Mosca traduce e pubblica in lingua russa “Viola di Mare”. Puoi farmi un bilancio su questa tua esperienza? e che effetto fa
essere pubblicati dallo stesso editore che ha tradotto e divulgato libri contemporanei di alcuni pop-writers italiani, da Giordano a D’Avenia?
Un sogno. Una esperienza inimmaginata e per questo ancora più preziosa. Avere portato in giro per il mondo, prima con il film e ora con lo spettacolo teatrale, questa storia di libertà e di amore, è un dono difficilmente eguagliabile. La pubblicazione in Russia, ha aperto, poi, un confine alla diversità di genere che i moscoviti hanno accolto benissimo.
Quanto tempo dedichi alla lettura e quanto spazio, invece, alla scrittura e alla preparazione di incontri con altri scrittori?
Non ci sono momenti o tempi stabiliti per la scrittura. Non sono un metodico. Mi piace scrivere quando sento la voglia di farlo.
Cosa racconta meglio di sé la Sicilia e cosa meglio nasconde e vuole che siano gli altri a scoprire?
La luce. Credo che sia questo il filo narrativo che espone l’Isola alla scoperta. I cambi di luce, i nuovi punti di vista, le tonalità mai uguali rappresentano qui le parole e le immaginazioni in modo diverso che altrove.
I ricordi, dunque, sono la base del nostro essere attuale, ma il dimenticarli cosa comporta? e che dimensione assume – alla luce della tua storiografia – il romanzo “Piccolo almanacco di emozioni”, appena fresco di pubblicazione per le edizioni Imprimatur?
“Piccolo almanacco di emozioni”, quattro ristampe in due mesi, è un prezioso elogio dell’infanzia. Un romanzo civile e personale intriso di emozioni scolpite nel cuore. Una lettura autobiografica del passato, tra odori e sapori, desideri e delusioni, con in mezzo un’infanzia felice e consapevole. Un antidoto contro l’oblio, che omologa le coscienze. La memoria, prima della nostalgia.
Giacomo Pilati, nato a Trapani nel 1962, ha collaborato con il Giornale di Sicilia, La Sicilia, Repubblica, Il Diario, I Siciliani e altri quotidiani e periodici. Negli anni 1986 e 1987 ha ricevuto il Premio nazionale di giornalismo Giuseppe Fava ed ha svolto reportage e interviste, inizialmente, con Telesud, alcune delle quali raccolte in un cofanetto con il titolo “In Sicilia rewind” ed edite dalla stessa emittente insieme all’editrice il Sole. Tra gli altri scritti e lavori di particolare interesse: “La città dei poveri. La mia vita per gli ultimi” con Biagio Conte (Il pozzo di Giacobbe, 2006), il docu-film “Le Siciliane” per la regia di Rosario Riginella (Solaris Film Production e Film Commission Sicilia, 2016) e “Viola di Mare” di e con Isabella Carloni (tratto da “Minchia di re”, anno 2011) nonché “Vola Libero” di Anna Graziano (liberamente ispirato da “Le Siciliane”, anno 2017), allestimenti entrambi per il teatro.