Stampa e Tv indiane hanno ieri reso noto che mercoledì scorso Freddy Bosco, proprietario del peschereccio St Antony sul quale a febbraio del 2012 vennero uccisi a colpi di arma da fuoco due dei nove pescatori che erano a bordo, ha inoltrato alla Corte Suprema dell’India un ricorso per opporsi alla eventuale scarcerazione temporanea di Max Latorre, di recente vittima di un attacco di ictus. Il provvedimento avrebbe una durata di due mesi e mira a consentire al fuciliere del San Marco di sottoporsi alle appropriate cure del caso in Italia. Il ricorrente, che in un eventuale processo contro i Marò sarebbe parte in causa per il risarcimento del suo peschereccio ora distrutto, ma che si presentava sgangherato e fatiscente già all’epoca dell’incidente in cui vennero coinvolti la petroliera Enrica Lexie ed i Marò del nucleo militare di scorta antipirateria, chiede che a Latorre venga negata la liberazione, seppure pro-tempore, o che in subordine venga sottoposto ad ulteriori accertmenti medico-fiscali prima di essere lasciato tornare in Italia. E Bosco fa anche il sarcastico, laddove ignorando le cartelle cliniche e la documentazione già disponibile ed esibita aggiunge : “Del resto, se sta così male che problemi ha Latorre a sottoporsi ad ulteriori esami?”. Glielo diciamo noi che problemi ha: che tra rinvii e nuovi ricorsi giudiziari in India si perda tanto di quel tempo da vanificare l’effetto di qualsiasi terapia volta a curare il grave malore che ha colto il nostro Marò, in una fase molto delicata della malattia in cui la rapidità di intervento risulta decisiva per determinarne l’efficacia.
Questa iniziativa di Bosco si inquadra nella rituale campagna d’autunno anti-Marò che puntualmente si scatena in India da tre anni quando le foglie ingialliscono e cominciano a cadere dagli alberi, nella quale non si risparmiano calunnie infondate e mai comprovate nei confronti dei nostri militari. Infami allusioni che vanificano sul piano dell’immagine e della possibilità di trovare un’equa soluzione del caso quel poco di costruttivo in chiave di legalità giudiziaria e di rispetto dei più elementari diritti dell’uomo viene faticosamente messo insieme tra primavera ed estate. Qualche giorno fa, la remissiva ed influenzata stampa indiana ha messo in giro voci secondo le quali i Marò avrebbero tentato di ottenere dal comandate della Lexie una manipolazione del libro di bordo per quanto riguardava circostanze e tempi per gli spari partiti dal bordo della nave, per fare accreditare la tesi di aver scambiato innocui ed inermi pescatori per pirati. Naturalmente non c’è niente di vero in queste tendenziose allusioni a smontare le quali stanno prove documentali dei fax scambiati tra la Enrica Lexie ed i Marò con il centro SAR (Sarch and Rescue) di Mumbai, che hanno indotto persino i corrotti ed inetti inquirenti del Kerala prima, e la Corte Suprema di New Delhi poi, a ritenere che in ogni caso si sia trattato di un fatale errore dovuto al comportamento equivoco e sospetto del St Antony e del suo equipaggio che avrebbe indotto chiunque a scambiarli per pirati. Quello di cui gli indiani ancora non si vogliono convincere è che la Lexie ed i Marò stavano da tutt’altra parte dell’Oceano Indiano ed in rotta per Suez quando qualcuno ha sparato ai pescatori del St Antony. Man mano che si avvicina il termine di fine ottobre, quando forse si darà il via al procedimento giudiziario tuttora in alto mare visto che manca persino una qualsiasi formalizzazione di un qualsiasi capo d’accusa contro i Marò, c’è da aspettarsi una recrudescenza del tentativo di infamare surrettiziamente gli “imputati” Latorre e Girone per reati che non hanno commesso al solo scopo di confondere le acque e fornire falsi pretesti al sistema India per giustificare l’arbitraria ed arrogante gestione della vicenda politico-diplomatica che nulla dovrebbe avere a che fare con il codice penale.
L’iniziativa di Bosco contro la liberazione di Latorre per motivi di salute mira a contrastare la posizione del governo indiano che, interpellato dalla Corte Suprema in merito alla richiesta di Latorre, aveva trasmesso l’8 settembre scorso una dichiarazione con la quale concedeva una sorte di nulla osta alla liberazione di Latorre, precisando di non avere alcuna “seria obiezione” ad una decisione della CS in tal senso. Ma perchè Bosco si accanisce così contro i Marò? Due sono i motivi principali per comprendere il suo atteggiamento: il primo è di carattere economico, il secondo giudiziario. All’indomani del “sequestro” dei Marò, l’allora premier Monti, da quell’arido ed incapace ragioniere che s’è sempre dimostrato, anzichè risentirsi e sollevare un putiferio diplomatico ritenne di chiudere la questione scoppiata con l’India elargendo una cospicua somma a titolo di risarcimento alle famiglie dei due pescatori uccisi, pari a 150mila euro a famiglia. Con questa sua mossa, che l’inconsistente entourage governativo del prof varesino riteneva furba e risolutiva, in pratica si produssero due nefasti effetti: quello di far apparire gli “italiani” colpevoli visto che erano disponibili a pagare senza nemmeno essersi accertati della dinamica e delle responsabilità dei fatti (excusatio non petita accusatio manifesta); quello di stuzzicare gli appetiti e la bramosia venale di altri attori della vicenda. In particolare quelli di Bosco che comprese che se i Marò fossero stati condannati per omicidio avrebbe potuto ottenere un lauto risarcimento per danni biologici e per il danneggiamento del suo peschereccio. In effetti, le foto dell’epoca mostrano che questo era una vetusta carcassa del mare priva di segni evidenti di un attacco a colpi di armi da fuoco. Addirittura nessuno dei vetri laterali, nè i parabrezza del peschereccio erano rotti o danneggiati, il che è quanto meno sospetto considerato che una delle vittime era il timoniere, ucciso con un solo colpo che gli ha trapassato il cranio mentre era in cabina di pilotaggio. Da dove è passato il proiettile assassino? Impossibile che fosse arrivato dal bordo della Lexie scarica di petrolio, il cui bordo sovrastava il St Antony da 30 circa metri di altezza, cioè dalla sommità di un edificio di 10 piani.
Per congruire la sua testimonianza con il teorema accusatorio dei keralesi il Bosco dovette cambiare di 180 gradi la sua prima versione dei fatti, contraddicendosi in modo plateale, ma senza che gli inquirenti indiani indagassero ed approfondissero nel merito.
Nella sua intervista resa a caldo alle TV indiane appena sceso a terra quasi alla mezzanotte del 12 febbraio del 2012, di cui esiste il filmato, il Bosco affermò in modo categorico parlando in lingua Tamil che la sparatoria che aveva ucciso due dei suoi si era svolta un paio di ore prima, alle 21.30 ora locale e che a causa del buio non aveva potuto leggere il nome della nave dalla quale avevano sparato loro addosso. Ma tre giorni dopo, improvvisamente si ricordò che invece erano le 4.30 del pomeriggio, c’era il sole e che il nome della nave era la Enrica Lexie. Il tutto avvenne appena dopo che la polizia del Kerala gli aveva spiegato che l’unica possibilità per lui di lucrare un risarcimento per l’incidente era quello di individuare i colpevoli per lo stesso, per cui sarebbe stato molto meglio per lui dimenticare quello che era veramente successo ed allineare la propria versione dei fatti al teorema accusatorio costruito a tavolino dagli inquirenti di Kochi. Poi c’è un altro aspetto. Bosco sì è così profondamente compromesso nelle sue accuse contro i Marò che se questi fossero dichiarati innocenti rischia di perdere molto sul piano economico e penale. In quel caso le sue montature gli si ritorcerebbero contro ed oltre a perdere il risarcimento cui mira, offrirebbe il fianco ad una controdenuncia da parte dei Marò per tentata estorsione, calunnia e falsa testimonianza.
Per completezza di informazione, ricordiamo che alcuni mesi dopo l’incidente il St Antony fu fatto sparire. La polizia sostenne con disarmante faccia tosta che lo scafo fu restituito al suo legittimo proprietario, tralasciando il piccolo particolare che essendo la scena del crimine era sottoposto a sequestro giudiziario. Peraltro, il peschereccio non era, e non è mai stato oggetto di perizie balistiche da parte degli inquirenti indiani e che ne è stata sempre impedita la ricognizione da parte dei periti della difesa. Il Bosco, a sua volta, sostenne di averlo fatto demolire perchè ridotto in condizioni che ne rendevano impossibile la navigazione. Però qualcuno riferì di aver visto il Bosco recuperare dal relitto alcune parti importanti, come l’albero motore, le eliche, il motore stesso, abbandonando solo uno scafo scrostato ed arrugginito. La scorsa primavera poi il colpo di scena: la polizia del Kerala, stanca delle accuse di aver manipolato le prove e di aver fatto scomparire il peschereccio incriminato se ne uscì fuori : “Volete vedere il St Antony? Eccolo!” mostrando un relitto irriconoscibile, un vero rottame ricoperto da uno sdrucito telone azzurro ed abbandonato in un remoto ed angusto pertugio del porto di Kochi. Sono queste le basi su cui poggiano le accuse degli indiani con gli eventi che precipitano e rischiano di produrre, dopo i danni psicologici, anche gravi danni fisici ai nosti valorosi ed innocenti militari.
FONTE QELSI.IT