‘Rocco Chinnici, un uomo libero’ recita il titolo di un documentario, di qualche anno fa, di Rai Storia, dedicato ad una delle pagine più tristi del nostro Paese. Ed è proprio della libertà dell’uomo e del magistrato ucciso dalla mafia trentaquattro anni fa che si è parlato ieri al Liceo Artistico “Ragusa-Kiyohara” di Palermo, nell’ambito di una iniziativa del progetto “Giovani cittadini attivi e consapevoli” dell’associazione P.A.R.S. finanziato dall’avviso pubblico ‘Giovani protagonisti di sé e del territorio – CreAZIONI Giovani’ dell’Assessorato Regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali.
È stato il figlio dell’allora consigliere istruttore a raccontare agli studenti chi era il padre, una “persona normale, non un eroe”. “La libertà era il motivo della scelta di mio padre- ha tenuto a precisare Giovanni Chinnici. Era un uomo libero culturalmente e credeva molto nella libertà dei giovani di scegliere il proprio futuro”. Questa la ragione per cui si recava nelle scuole a parlare con gli studenti della mafia e del pericolo della droga. Erano gli anni ‘70, anni in cui la mafia aveva allentato i propri interessi nelle campagne e cominciava ad occuparsi principalmente del traffico degli stupefacenti. Per l’uomo Chinnici, prima ancora che per il magistrato, era necessario far capire ai ragazzi il pericolo delle droghe e gli interessi economici che l’organizzazione criminale ne traeva. Di questa attenzione per i giovani è testimonianza anche la presenza ai consigli di classe nelle scuole dei figli, nonostante fosse difficile conciliare le responsabilità di un lavoro molto impegnativo con le esigenze della famiglia.
Oltre all’attenzione per il mondo giovanile, Chinnici ha realizzato un’altra rivoluzione per quegli anni: la creazione del pool antimafia nel 1980. L’avvio di quella esperienza, con il coinvolgimento dei magistrati Falcone, Borsellino e Di Lello, però, rappresentò l’inizio degli attacchi contro il consigliere istruttore. Sollecitato dalla domanda di uno studente, Giovanni Chinnici racconta “delle minacce, delle lettere minatorie” nei confronti del padre per quelle “indagini efficaci che disturbavano la mafia”. E ricorda come il magistrato fosse contento, dopo l’approvazione della legge Rognoni-La Torre, di avere a disposizione uno strumento valido per contrastare la criminalità mafiosa.
L’incontro ha permesso agli studenti del liceo artistico “Ragusa-Kiyohara” di contestualizzare anche il periodo storico e culturale nel quale Rocco Chinnici ha operato e come il suo impegno professionale è stato vissuto dal figlio Giovanni. Rispondendo ad una domanda di Gabriele, alunno della scuola, l’avvocato Chinnici ha ammesso che “solo due-tre anni prima dell’uccisione di mio padre ho iniziato a comprendere la portata del suo lavoro perché a casa non ne parlava. Ce lo presentava come un lavoro normale, così come normali ci presentava i rischi che correva. Ciò ha fatto si che io percepissi come naturale l’isolamento in cui viveva”. A differenza di quanto avviene oggi, infatti, in quegli anni “non si comprendeva il valore dell’azione del magistrato”. Ecco perché “mi aspettavo la reazione fredda della società all’omicidio di mio padre”. Forte, invece, è stato l’impatto emotivo del figlio davanti all’uccisione del magistrato, sebbene Giovanni Chinnici, rispondendo al giovane Joseph, ha descritto come “difficile” il rapporto con il padre al punto da avergli impedito, “fino ai 18 anni, di comprendere l’importanza che il suo ruolo e il suo impegno rivestivano per lui”. Inoltre, prendendo spunto dall’espressione “magistrato antimafia”usata dal giovane Eliseo durante l’incontro, Giovanni Chinnici ha voluto condividere con la platea di studenti la sua contrarietà a questo aggettivo: “Non mi piace la parola antimafia. Sono contro la mafia, ma anche contro qualunque altra forma di reato. Io sono per una società che funzioni secondo le dinamiche scritte dalle leggi che ci siamo scelti”. E, evidentemente, anche il padre la pensava così dal momento che “non si è mai dichiarato magistrato ‘antimafia’”. Rocco Chinnici era “semplicemente un magistrato che difendeva la città contro qualunque reato”.
A fare gli onori di casa è stata il dirigente scolastico, Giuseppa Attinasi, che ha sottolineato come la sua scuola “aderisce ogni anno ai progetti di cultura civica perché crediamo che il compito della scuola è quello di sviluppare competenze cognitive, emozionali, etiche e sociali”.