Una barca di luce come un faro che si accende in vetrina: “I’m The Island” è la scultura di Domenico Pellegrino che da pochi giorni occupa lo showcase del museo RISO, aperto sulla strada. Nei giorni in cui tutti i musei sono serrati, le mostre sono chiuse, i siti archeologici non ospitano più visitatori, anche attraverso piccole attenzioni, al RISO – Museo d’arte moderna e contemporanea sarà possibile, appunto, ammirare la scultura dall’esterno.
Un museo sulla strada, sempre aperto, vetrine sulla città che vogliono idealmente tenere unito quel legame tra il passante e RISO – spiega il direttore del Museo, Luigi Biondo – Dal vetro trasparente del BookCulture fa capolino adesso la barca colorata ed illuminata Domenico Pellegrino. Un’opera dalla spiccata identità iconografica che vuole essere una bandiera per indomiti guerrieri della luce. Torneremo presto”.
L’idea era sembrata sin da subito affascinante: due grandi “occhi” pronti ad ospitare opere di artisti e creativi siciliani, per i quali si stava pensando ad una call, una vera “chiamata alle arti” da cui sarebbe nata anche una linea di merchandising per il Museo. Ma il Covid ha fermato tutto, e le due vetrine sono rimaste come l’unico contatto virtuale tra il museo e la strada. “Il BookCulture di RISO, come gli altri aperti nei siti culturali, si era candidato a hub creativo, biglietto da visita del museo che incuriosisce il visitatore – interviene il direttore di CoopCulture, Letizia Casuccio –. In attesa di poter riaccogliere il pubblico, presentiamo un’opera simbolica che fa pensare alla rinascita, alla ripartenza”.
Per questo motivo è stato deciso di ospitare I’m The Island, la barca di luce di Domenico Pellegrino, già esposta nel Padiglione del Bangladesh alla 58. Biennale d’arte di Venezia del 2019. Dopo aver navigato tra calli e ponti, la barca di luce aveva raggiunto Palazzo Donà delle Rose; dopo due anni, arriva a Palermo. Un’installazione che sa di viaggio, percorso, ricerca di conoscenza, voglia di vita. E unisce popoli lontani tra loro: Pellegrino ha infatti lavorato sul modello delle imbarcazioni tipiche bengalesi, barche in legno scuro che scivolano sul fango di un Paese che si vede inghiottire dall’acqua; ha raccolto e annodato un filo che lo conduce in Sicilia, all’antica famiglia catanese dei Rodolico, i maestri d’ascia citati nei Malavoglia, a cui ha affidato la costruzione dello scafo. Le luminarie – elemento scenografico riconoscibile nel lavoro di Pellegrino – attingono a decori bengalesi, presi a prestito dalla natura, riscritti e ridisegnati attraverso la cultura siciliana.